Paolo Griffa è giovane eppure già da tempo nell'orbita del fine dining. Una cosa è sempre stato facile dire di lui: che ha talento, tecnica e ambizione. Peccava nel voler far troppo: riempiva di sovrastrutture la propria creatività, la declinava in una ricchezza di rimandi capace di stupire, ma che finiva a volte fuori fuoco.
La prova del definitivo salto di qualità sta ad esempio in un piatto che è mosaico di verdure con una salsa speziata (il nome: Tajine di verdure, salsa lassi al cumino e menta, cous cous al limone e cannella). Eccellente. Anzi per noi un nuovo possibile signature, anche per le tante declinazioni possibili: complesso eppure definito, solido ma quasi leggiadro, armonioso, vellutato, un cross over tra culture coinvolgente con il suo incedere prima sommesso e che poi si fa sferzante di speziatura, acidità, piccantezza. Intuizione felicissima, esito perfetto.
E non è l'unico. Straordinario anche Disgelo del Monte Bianco (leggi qui), una rappresentazione del circostante in forma edibile che poteva essere forzata, quindi involuta, e invece risulta appagante.
Griffa raggiunge l'obiettivo senza rinunciare alla passione per quelle che abbiamo chiamato sovrastrutture: l'esperienza al Petit Royal è costellata di provocazioni giocose, di interazioni tra sala, cucina e tavolo, di inseguimento dell'estetica, di perfezionismo maniacale, di sovrabbondanza di stimoli. La maturazione dello chef sta proprio nella sua capacità - a lungo inseguita e ora trovata - di coniugare tutto questo con l'essenzialità del gusto, la pulizia al palato, l'esattezza del piatto.
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Ristorante con camere
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it