Cracco, tendiamo a dimenticarlo nel bailamme della vulgata, è tra le insegne italiane che più ha influenzato la creatività europea dell’ultimo ventennio. Oggi come allora, ma in modo diverso da allora, la sua cucina non somiglia a nessun’altra perché riflette il pensiero di un ragazzo one of a kind. Nella casa madre dal 2006, Luca Sacchi da Abbiategrasso oggi procede con uno stile maturo perché anticipato da uno studio matto e disperatissimo sulle tradizioni autenticamente popolari del paese.
C’è un ironico contrasto tra l’allure di presunta inavvicinabilità del ristorante e le radici umili di molti suoi piatti. È un processo creativo assennato, che esplora i riti antropologici della tavola italiana come la centralità dell’agrodolce, la scarpetta, l’acqua dolce prealpina e i mari di Sicilia ben oltre lo steccato del chilometro zero. Ma anche lo studio di tradizioni più lontane (la Persia, il Nord Africa), il richiamo silenzioso ai drammi del nostro tempo (l’Ucraina) e alle prospettive del pianeta (le crescenti accortezze no waste).
Una cucina piena e inattaccabile innanzitutto per le bontà che esprime: piene e sottili, fresche e concentrate, immediate e soppesate. Ma anche perché in nessun momento si ha l’impressione che quel vedi e assaggi contenga la farina di altri Sacchi. Piuttosto che omologarsi a qualcuno o qualcosa Carlo Cracco e Luca si butterebbero nel fuoco. E poi c’è la sala: Gianluca Sanso, Silvia Cuneo, Valentina Gaggero e tutti gli altri ragazzi, competenti e distantissimi dai 30 anni.
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laurea in Filosofia, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose, collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso scuole e università. Instagram @gabrielezanatt