Se non ci fosse Marco Martini bisognerebbe inventarlo. Ed è fin troppo facile chiamare in causa la simpatica velocità di riflessi verbali e la sfrontata loquacità da periferia romana che lo contraddistinguono se si scambiano un paio di battute con lui in sala o a due passi dalla cucina, perchè poi c'è sempre, sin dai tempi della Stazione di Posta, una solida espressione di cucina che, da un lato si nutre di lazialità gastronomica, dall'altro rivela l'attenzione verso concetti più moderni.
Sia ben chiaro, Martini non dimentica quelle che sono le sue grandi passioni, a partire dai fondi che aricchiscono molte delle sue preparazioni e conferiscono intensità ai piatti, ma la curiosità e la voglia di mettersi sempre in gioco lo portano anche verso l'innovazione. I primi piatti si tramutano, ad esempio, in un excursus regionale che vede il Raviolo di cacciucco con polpo, mozzarella e olive o il Bottone con mascarpone con 'nduja e impepata di cozze primeggiare, seguiti a poca distanza da secondi non meno diretti e incisivi come l'Agnello con carciofi e alici o il Bacclà con pollo e patate.
Per gli amanti della cucina della capitale c'è anche il divertente percorso chiamato I Romanissimi 2008-2020, dove il cuoco raccoglie in un colpo solo dodici anni di sperimentazione sui piatti tipici di Roma. Come nel caso del French toast di saltimbocca, delle Tagliatelle di seppia all'amatriciana o del Rombo con patate e carbonara. Un bella idea per vivere davvero, in questo caso, il gioco tradizione/innovazione.
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Tavoli all'aperto
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giornalista per riviste di turismo ed enogastronomia italiana, ama le diverse realtà della cucina internazionale e viaggiare