La cucina come arte (ma nel dire quando lo è sta il punto, perché dire “la cucina è arte” o “non è arte” è in sé privo di senso) sconta sempre un ritardo, troppo forti sono le remore che ne frenano o deviano il percorso. In ogni caso, la cucina può essere arte solo se, come per tutte le arti, riesce ad andare oltre il sensoriale, nello specifico oltre l’ideologia della cosiddetta “centralità gustativa”, oltre il gastronomico (alla lettera: “legge del ventre”), oltre l’obsoleto “gourmet” in tutte le declinazioni.
Ma ci sono delle figure che con la cucina hanno varcato la soglia del ‘gastronomico’, del ‘gourmet’ per entrare nell’ambito dell’arte. Gagnaire, Marchesi, Adrià. E Bottura. A loro e a non tanti altri, in Italia e nel mondo, bisogna fare in ciò riferimento. E di Bottura abbiamo seguito negli anni tutto il cursus honorum che lo ha portato a ridare all’alta cucina del nostro paese una centralità nel mondo. Questo basterebbe per indurre al ritorno a La Francescana a ogni nuova partitura, come nel caso dell’ultimo menù “Vieni in Italia con me”, dove ogni topos della cucina italiana è trasfigurato nel transito da palato sensoriale a palato mentale e infine concettuale.
Tripla l’attenzione necessaria nel predisporsi a un pop e aureo gioco di connessioni, triplo il piacere. Abbiamo in mente l’ultimo step “Ops! Ho dimenticato la caprese”, del mondo degli ideali, che può stare per “dolce” o “antipasto” o “piatto di mezzo”, pura italianità dal cuore, rosso, pulsante, in perfezione tecnica e meravigliosa immediatezza.
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ligure, nell'attesa di ciò che mangerà talvolta scrive di ciò che ha mangiato: buono da scrivere, buono da mangiare