Il cuoco italiano più celebre di sempre. Verrà ricordato così dai posteri, Bottura, e a buona ragione: se la fama si misura con Google, il Massimo della cucina somma 1.270.000 occorrenze, contro le 496.000 di Pellegrino Artusi (che peraltro non era un cuoco) e le 475.000 di Gualtiero Marchesi (con il vantaggio non risibile di essere l’unico dei tre vivo).
Bottura è l’Italia nel mondo. Come Luciano Pavarotti. Come Valentino Rossi. Bottura è etica ed estetica, modello per Gucci e servitore nei Refettori – le mense nel mondo che pasciono gli ultimi tra quinte d’arte contemporanea –, motore della sfoglia civile del Tortellante e padrone di casa a Casa Maria Luigia, dove riceve le rockstar. E un milione di altre cose, ché l’uomo è tornado ma tutto il suo agire ha in fondo un cuore, quello riassunto dal principe Miskin, cui Dostoevskij fa dire "la bellezza salverà il mondo".
"Siate folli, siate affamati" potrebbe incitare, se non l’avesse già detto un altro, col merito che se siete affamati la Francescana vi sfama con i suoi piatti che sono prima di tutto una presa di coscienza sul come la cucina italiana sia grande e possa essere contemporanea. Dell’Anguilla che risale il fiume o del Riso come una bouillabaisse non c’è più niente da dire, come su un ristorante che è una galleria d’arte o sulla conduzione di sala e cantina di Beppe Palmieri che in nome del mantra “basso profilo altissime prestazioni” produce il massimo del comfort col massimo della nonchalance. Tutto perfetto. Nel ristorante italiano più celebre di sempre.
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viaggia e mangia per Lonely Planet, Osterie d'Italia, Repubblica e la collana I Cento (EDT). Ha scritto "Dire Fare Mangiare" (ADD), "Cibo di strada" (Mondadori), "Il Gusto delle piccole cose" (Mondadori Electa) e “Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi di Torino”, ama andar per trattorie e ristoranti di blasone portandosi dietro una moglie riottosa e due figli onnivori
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