Normandia, Una patata che vuole diventare un tartufo, Compressione di paste e fagioli, Caesar Salad in Emilia… La playlist di “I’m not there”, l’ultimo menu dell’Osteria Francescana, sembra un best of dei piatti che negli ultimi 34 anni hanno reso l’insegna modenese celebre nel mondo.
Ma chi parla di “insegna che si storicizza” non conosce l’eterna inquietudine di un cuoco per cui «cambiare sempre vuol dire sentirsi vivo», un’irrequietezza per cui trasfigura sempre il già noto, trasformando i Tortellini che camminano sul brodo in dumpling alti come i grattacieli di Seul. O rilegge in chiave verde un monolite come le Consistenze di Parmigiano Reggiano. Massimo Bottura lo fa assecondando continuamente le inclinazioni della sua brigata cosmopolita, little helps from friends che riscrivono il significato di signature dish, eterni ma proprio perché li ridiscuti ogni volta; non perché continui a riproporli identici negli anni.
È il dubbio tremendo, «quella cosa che ci rende umani», direbbe lui, l’essenza della civiltà e il motivo per cui ogni volta siamo sulla soglia di via Stella con l’agitazione dei bambini da Zero Gravity.
laurea in Filosofia, coordina i contenuti della Guida ai Ristoranti di Identità Golose, collabora con varie testate e tiene lezioni di gastronomia presso scuole e università. Instagram @gabrielezanatt
+390593091008
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