Tutto è cambiato, all'Albereta. Quando Gualtiero Marchesi se ne andò e la cucina venne affidata al giovane Fabio Abbattista, c’era necessità di segnare la discontinuità, di marcare a chiare lettere un prima e un dopo. «Tenemmo chiuso il ristorante per sei mesi. Quando riaprimmo, era un’altra cosa». Ed era differente anche la proposta gastronomica, «non avrebbe avuto senso scimmiottare quanto c’era stato nel passato. Io sono io e mi misi subito in gioco». Partita dura, l’ombra di Marchesi ha accompagnato Abbattista a lungo – ormai sono cinque anni, iniziò a lavorare qui nel gennaio 2014 – anche se questo molfettese garbato, classe 1977, s’accorse già durante la seconda stagione di essere riuscito a scrollarsi di dosso la pesante eredità: «Lo percepii chiaramente, eravamo riusciti a imporre una nuova identità».
Ora Marchesi è scomparso. Intanto Abbattista ha messo le ali. I suoi piatti sono pieni, dritti sul gusto ma anche eleganti; c’è il sapore, avvolgente ma sempre ben bilanciato, armonico, mai fine a sé stesso. Di volta in volta può raccontare il Mare Nostrum (Morbido di seppia e intingolo mediterraneo), il territorio (Anguilla dell’Iseo ai carboni, cetriolo, mela verde e cerfoglio) oppure azzardare crossover perfetti al palato, deliziosi, come nelle Lumache, royale di carciofi e teriyaki. Lo chef sa anche recuperare intelligentemente una certa classicità: Soufflé alla nocciola, gelato variegato al pralinato, gran dessert.
E poi c'è un assaggio che spicca su tutti: Piccione alla cenere, rabarbaro e pepe timut. Un petto così buono forse non l’abbiamo mai mangiato.
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classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it
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