In un tempo gastronomico scandito dalla parola d'ordine "piacere" e dominato dalla semplicità, in un momento in cui anche gli chef maggiormente dotati di acutezza e lungimiranza si abbandonano al gusto un po' nazionalpopolare del gratificante e del poco celebrale, Matteo Baronetto segue un sentiero impervio e si diverte a épater le bourgeois che (a volte giustamente) si aspettano dalla cucina del Cambio una coerenza con le sale storiche e il tavolo di Cavour. Solo che a ben guardare la sala storica di Cavour sarebbe sotto i calcinacci degli stucchi, imbiancata dalla polvere del tempo se non ci fosse stata la ristrutturazione che ha portato il Cambio nel nuovo millennio.
E la cucina di Baronetto, rispettosa del passato, a passi lenti, si muove verso un futuro lontano dalla finanziera e dal brasato al Barolo, persino lontano dagli agnolotti - che oggi sono sempre in carta, anche se sembra impossibile pernsarlo.
La cucina è eterea, fatta di delicati accostamenti, come la bufala con l'animella, lo scampo con la nocciola e altri giochi lievi che dimostrano la sensibilità dello chef. Ma la classe si disvela anche nei piatti più articolati: nella carne cruda - che è insieme steak tartare condita al tavolo e albese ripiena di bianco d’uovo; nell'insalata tiepida di mare che è un omaggio a quella del Gatto Nero; nei "nigiri di seppia, ostrica, cozza, wagyu e fiori di zucca", affaccio su di un mare cinomediterraneo; e infine nei saltimbocca di sogliola e nell'astice alla mediterranea che sono, questi sì, piatto in livrea.
+39011546690
Tavoli all’aperto
avvocati di professione e gastronomi per passione. Da 25 anni recensiscono a quattro mani ristoranti sulle pagine torinesi di Repubblica. Collaborano con varie guide gastronomiche nazionali e sono gli autori delle Guide i 100