Il posto, in un edificio storico a qualche isolato da Union Square e dal Flatiron building, è decisamente un classicone. Soprattutto per i newyorkesi, che hanno iniziato ad amarlo fin dall’apertura (1994, anche se sembra lì da secoli), senza mai smettere. E questo per l’ambiente country-chic molto easy, diviso fra zona bar (la Tavern, popolare per lunch, aperitivo e dopocena) e alcune sale con i tavoli, dove è sempre meglio prenotare. Ma anche per l’accoglienza quasi familiare, l’atmosfera rilassata, il servizio preciso e una cucina che più americana/americaneggiante non si può, con uno standard affidabile e costante nel tempo.
Nato da un’idea vincente dell’imprenditore Danny Meyer, il Gramercy vanta una stella Michelin dal 2005, ampiamente meritata dallo chef Michael Anthony per la sua abilità nel rimanere saldamente sui binari della tradizione (o pseudo tale) senza mai cedere a pur vaghe tentazioni creative, se non eventualmente nelle presentazioni. Lo confermano le ricette evergreen più gettonate: dal superlativo agnello arrosto al petto d’anatra confit, dai gustosi Tortiglioni Bolognese rubati a Little Italy alle ostriche con bacon, dalla bisque di pomodoro alla coda di rospo con cozze, per non parlare dell’americanizzata panna cotta al mais con fiocchi di polenta.
Niente male anche il menu ridotto al bancone o ai tavolini della Tavern, dove si può mangiare ininterrottamente dalla tarda mattinata fino a tarda notte. E senza aver prenotato.
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origini bergamasche e infanzia bolognese, oggi è milanese ma anche cittadino del mondo. Come critico/giornalista prima musicale e poi enogastronomico, abbina da sempre le sette note a vini, piatti, cantine e hotel. Adesso, anche nei panni di Music Designer e Sound Sommelier (psmusicdesign.it). Da vero Bulliniano, ha un debole per gli chef creativi che vanno comunque oltre