Antonio Scalera ha avuto coraggio da vendere. Con un talento innato e prorompente e un fiuto per la materia prima da segugio maremmano, ha qualche anno fa intrapreso il suo nostos nella città d'origine dopo le avventure spagnole (Viridiana e Cuenllas), francesi in pectore (la Trattoria Toscana, già di Alain Ducasse) e italiane (tra le varie, Paolo Teverini, tanto per citare un genio). Solo che la sua città di origine è Bari, piazza difficilissima per una cucina che vada troppo in là nell'ideazione e troppo in qua nelle quantità pro capite, e dove se chiedi un vino biodinamico ti guardano esterrefatti. Ma tanto può l'amore e la caparbietà.
A pranzo difficile aprire, ma la sera è la sera, e allora l'esperienza vale il viaggio da qualsiasi distanza. Stagionalità, cotture leggere, coraggio negli accostamenti, gusto per la variazione, recupero di prodotti poveri, rifiuto della grande distribuzione, sono il suo esalogo. E tutto questo non per moda, ma con l'obiettivo sempre raggiunto di locupletare il palato. Il menu cambia spessissimo, per di più gareggiando all'ultima scelta con i frequenti fuori carta, frutto magari dell'ispirazione del giorno in cui si capita.
Volendo incuriosire, piace ricordare l'algebrico Cefalo, scalogno affumicato e maionese al bergamotto e l'incantevole Ventresca di ricciola, zucchine, fiori e acqua di pomodori. In sala aleggia la sommelier, nonché maître, Francesca Mosele, uno dei tre araldi del bere 'naturale' e (quindi) del bere bene, anzi benissimo, nella rarefatta ristorazione di qualità del capoluogo.
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Tavoli all'aperto
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docente umanista, musicofilo barocco, gourmand postmoderno dogmatico sul vino e pragmatico col cibo. Collabora anche con Radici Restaurants