Marcello Trentini è il mago punk di una favola a lieto fine, che dura da vent'anni (il locale è nato nel 2003). Da poco abbandonati i dread con cui avrebbe inteso spaventare i bambini (funzione tradizionalmente svolta dal Magorabin in quel di Torino), sembra aver trovato negli ultimi tempi una serenità e un equilibirio finora sconosciuti, e di questo deve probabilmente rigraziare la socia ed ex compagna Simona Beltrami, che ne orienta e addomestica gli estri comunque sempre travolgenti.
La sua è una cucina prorompente di pensieri e azioni, ma in cui l'ospite sta sempre ben comodo. Nel menu /Im-ma-gi-nà-re/ l'unico disagio sta nel temere di scriverlo male: un percorso al fulmicotone con due taglie per fami di diverse misure: nove piatti a 160 euro, cinque a 120. I titoli dei piatti sono apodittici, lapidari: ingredienti e basta. Lo storytelling sta tutto nel palato e trasforma la nomenclatura in poesia: Carciofi e burrata, Seppia e fave, Scampo cavolfiore e mandorle, Ricciola parmigiano e miso, dei toccanti Fusilli e scampi, una Pasta e cavolo che attinge a memorie di tinelli contemporanei, il Chicken Rossini che cita gli anni Ottanta, il sontuoso Agnello fichi e cardi, poi la fine con un Diplomatico alla ricotta di pecora. C'è anche un più stringato menu Green Torino (quattro piatti a 95 euro) che sdrammatizza e alleggerisce la tradizione sabauda.
La mano è lieve, i linguaggi attingono a mille vocabolari, la sorpresa è sempre in agguato. In sala la sullodata Simona rende l'esperienza sublime, anche nel bere (con un occhio particolare ai vermuth).
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romano di stanza a Milano, sommelier e giornalista del quotidiano Il Giornale, racconta da anni i sapori delle città in cui vive