Come sarà quello che per molti, nel mondo, è il miglior ristorante mai provato (vale anche per il sottoscritto)? Il futuro è d’obbligo per il locale di René Redzepi che negli ultimi anni ha saputo cambiare, reinventarsi, riprogettarsi, spiazzare continuamente. Quand’era all’apice del successo ha smontato tutto e varato un Noma più grande, una mega serra-laboratorio; quand’era il capo indiscusso ha smesso di urlare e chiamato maestri yoga e psicologi; quando la pandemia ha tramortito il fine-dining ha trasformato il locale in un wine bar, il più redditivo di tutti i tempi (facevano mille panini al giorno, da 20 euro l’uno, più i drink).
Redzepi ci ha fatto mangiare formiche e licheni, fermentazioni e cozze di cinquant’anni, teste di germani aperte come nel laboratorio di Frankenstein e plancton, molluschi palpitanti e vegetali che parevano kebab. Sempre e solo al servizio del gusto (diciamo al 95%; il 5% a favore di Instagram). Poi David Zilber se n’è andato, e in questo scorcio di 2020 hanno lasciato il progetto anche i nostri beniamini, Riccardo Canella e Stefano Ferraro, punte di diamante del test-kitchen (Ferraro è tornato in Italia con Loste), proprio nei mesi in cui il Noma può cucinare solo per i Danesi, e tutti gli altri fuori.
Ma Redzepi ha “Il metodo”, come Stanislavskij, ha capito “come si fa”. C’è da scommettere che continuerà a guidare uno dei più stupefacenti e squisiti ristoranti del pianeta.
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viaggia e mangia per Lonely Planet, Osterie d'Italia, Repubblica e la collana I Cento (EDT). Ha scritto "Dire Fare Mangiare" (ADD), "Cibo di strada" (Mondadori), "Il Gusto delle piccole cose" (Mondadori Electa) e "Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi di Torino", ama andar per trattorie e ristoranti di blasone portandosi dietro una moglie riottosa e due figli onnivori