Che Pietro Leeman abbia scritto un pezzo di storia della cucina italiana, è un fatto già assodato e riconociuto dai più. Quel che c'è da chiedersi per attualizzare il discorso è in che modo il suo lavoro prenda forma in questo preciso spaccato di contemporaneità, quando ormai la cucina (ancor prima che la dieta) vegetariana stia prendendo sempre più le distanze dallo status alternativo da cui è sorta in Occidente.
La risposta è: gentilezza. Il percorso tracciato a tavola dalla brigata del Joia è garbato, affabile, di un brio che intrattiene senza la reale necessità di travolgere e stupire clamorosamente. E questo, in virtù di un equilibrio rispettoso che si declina innanzitutto tra i sapori, bilanciati anche nelle punte un filo più spinte di acido, aspro e sapido, poi nell'ossequioso rispetto dell'ambiente attraverso scelte mirate di prodotti e relativi produttori biologici, biodinamici o da orti sinergici, che coltivano la Terra ancor prima che la terra.
Ultimo ma non per ultimo, un equilibrio che si instaura nel patto di fiducia con gli ospiti, guidati piatto dopo piatto in un menù espresso in forme e consistenze originali, eclettiche, ma pur sempre rassicuranti, in grado di raccontare in un'efficace diapositiva lo stato in cui la natura si esprime di stagione in stagione.
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convinta che si possano cavare storie anche dalle rape, lavora su strategie di comunicazione e sulla redazione di contenuti per Slow Food Editore, riviste e aziende del mondo gastronomico