Max Mascia lo dice: «Apportiamo sempre qualche novità, ma la nostra decisione di fondo è quella della piena continuità stilistica», ossia piccoli aggiustamenti ma soprattutto adelante con juicio, qui è e deve restare protagonista la storia, con lo chef che lascia spazio al blasone della struttura, al prestigio di un'eredità illustre: si mangia al San Domenico di Imola.
È, quella descritta, una scelta discutibile ma che ha il pregio della chiarezza e dell'eccentricità, in tempo di personalizzazione estrema, di cuochi-celebrities da copertina. Qui si procede lungo un percorso diverso: quello della sedimentazione di una maison classica, modello francese, dove si gustano non solo piatti sempre di ottima fattura, ma pure se non soprattutto un'allure che è il vero plus, un'atmosfera d'altri tempi, così rara nella nostra contemporaneità frenetica e iconoclasta. Tra i tavoli s'aggira Natale Marcattilii, uno dei volti che incarna la nobiltà del luogo. Il fratello Valentino no, non l'abbiamo incrociato, lui allievo di Nino Bergese e di alcuni nomi leggendari della cucina transalpina: non ce n'è bisogno perché il fil rouge passato-presente è garantito - nella cucina grande, bellissima: un'astronave - dal nipote, appunto Mascia.
Così il graffio più impertinente arriva dalla cantina: appannaggio di Francesco Cioria, molto bravo, che toglie la polvere da verticali d'incredibile profondità e indirettamente anche dall'ambiente, con un pairing evoluto lo vivifica per non farlo percepire come fin troppo uguale a sé stesso.
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Tavoli all’aperto
classe 1974, giornalista professionista, si è a lungo occupato soprattutto di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa esattamente l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta sui viaggi e sulla buona tavola. Caporedattore di identitagolose.it