Basi tecniche monumentali e una mano mossa da un grande talento, anche istintivo, fanno di Silvio Salmoiraghi uno degli chef più interessanti della contemporaneità. E non solo perché fu tra gli allievi più bravi e promettenti di Gualtiero Marchesi, di cui serba anche tutta la memoria storica, ma perché nel contesto di un menu cui viene spesso rimproverata la staticità lo chef non manca mai di inserire qualche interpolazione ricca di pathos, né di inserire qualche passaggio denso di provocazione.
Ci pensano gli ambienti, siamo all’interno di una corte dagli interni retrò, a rassicurare una platea sempre vasta e variegata di clienti, attirati fin qua dalla promessa, sempre esaudita, di esplorare tutte le possibilità di quella che, molto felicemente, è stata chiamata, ormai all'unanimità, "nuova cucina italiana". Cosa che a lui riesce straordinariamente bene non solo da un punto di vista sintetico ma anche analitico dato il suo talento nel far percepire, di ogni costruzione, il singolo elemento.
Ogni piatto, che ogni anno altro non è che una riedizione, o rielaborazione, dell'anno precedente, è pertanto orchestrato con pienezza e profondità e senza il ricorso a chimica o tecnologia di sorta, nemmeno quella del sottovuoto. Questo fa di Silvio Salmoiraghi un artista/artigiano della cucina italiana, una cucina ancora cucinata, e sempre in contatto con la propria memoria.
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Tavoli all'aperto
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folli amanti dell’alta cucina, in totale sono una ventina, sempre alla ricerca di emozioni. La causa? Un’irresistibile Passione Gourmet