Diego Rossi

Foto Brambilla-Serrani

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Trippa

via Giorgio Vasari, 1
(angolo via Muratori)
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«Non parto mai da quello che piace al cliente, sarebbe piegarsi alle mode. Il punto di partenza è il piatto». La filosofia di Diego Rossi è racchiusa in queste parole, che possono sembrare snob, ma indicano una scelta di campo: centralità alla cucina e agli ingredienti. Chef dal pedigree stellato, Rossi deve la notorietà alla trattoria aperta a Milano, Trippa. Un nome che è una bandiera: «In italiano ‘trippa’ significa qualcosa di concreto, di sostanza. Io arrivo da una cucina che non lo era». Appunto. Bisogna partire dalle esperienze precedenti per capire com’è arrivato fin qui, a un’osteria che fa dell’essenzialità il suo tratto identitario.

L’avventura parte da Verona, dove si nutre di prodotti dell’agricoltura e del saper fare contadino. Prima la scuola alberghiera, poi un ristorante, quindi iniziano le esperienze stellate: in Liguria, a Venezia, al St.Hubertus di Norbert Niederkofer. Ci arriva da ospite pagante, ci rimarrà a lavorare. E, ancora, alle Antiche Contrade di Cuneo e un boutique hotel a Bolzano. Poi, finalmente, punta su Milano. Fa ricerche, si guarda in giro, sperimenta. E parte, con le idee molto chiare su quello che vuole e soprattutto quello che non vuole fare: «Non mi emozionavo più nei ristoranti stellati».

Di quelle esperienze fa tesoro, sia per l’organizzazione di cucina sia, soprattutto, per le tecniche di lavorazione. Ma la filosofia è agli antipodi: «Abbellire di meno, fare preparazioni più semplici, semplificare i processi e rispettare il prodotto: se lo lavori meno, rimane più intatto, più integro, più vero». Il menu non è il punto di arrivo ma di partenza: «Lo cambiamo quando vogliamo. La gente è abituata a trovare tutto e sempre, ma non è naturale. E si perde il desiderio romantico dell’attesa perché, se una cosa la puoi avere sempre, alla fine non la desideri più. Io cucino quello che voglio e, se una cosa è finita, amen».

E’ un percorso di crescita che Diego considera tutt’altro che finito: «Bisogna studiare, c’è sempre qualcosa da imparare e qualcuno che ne sa più di te. L’approfondimento non è mai finito, soprattutto con la biodiversità e la ricchezza dei prodotti italiani». La rivoluzione non si ferma in cucina ma arriva all’organizzazione di vita: meno ore in osteria, più tempo fuori, a trovare nuovi impulsi, perché «è solo vedendo altre cose che ti vengono idee interessanti». Trippa apre solo a cena, la prima parte della giornata è dedicata alla ricerca della materia prima e in base a ciò che si trova si costruisce il menu.

Prima ancora che a chilometro zero, la sua cucina è a ‘spreco zero’: creatività e tecnica servono per sfruttare al massimo le potenzialità della materia prima. Un esempio? «Quando arriva un pesce, prima vendo la testa, poi le guance e i frontali, quindi sfiletto e recupero tutto, compreso il midollo che servo, crudo, col cucchiaino». Stravagante? In realtà, è una forma estrema di rispetto per la materia prima. Ma attenzione: «Se uno entra al ristorante tutto spavaldo, da Trippa non mangia niente, perché bisogna entrare con la stessa umiltà con cui entreresti in casa di qualcuno che non conosci». 

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Laura Cavicchioli

modenese, classe 1992, laurea magistrale in Economia, ha frequentato il master “Food and Wine Communication” 2018 presso l’Università Iulm di Milano