Yoshihiro Narisawa

Les Créations de Narisawa

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Tokyo
Giappone
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Oggi che tivù e internet ci hanno abituato a un mondo di geni e di fuoriclasse solo perché funzionali a certi meccanismi della comunicazione e del business planetari, banali figurine senza cervello, se si è geni per davvero è quasi meglio che non lo si dica. Termine inflazionato e svuotato di autentico significato. Come sostituirlo? Sì, perché Yoshihiro Narisawa appartiene a quella ristretta cerchia di cuochi che, dando per scontato che sappiano cucinare benissimo, con mani magiche, ha aggiunto qualcosa di suo, una filosofia, un modo di agire che lo innalzano sopra la media e lo mettono in una posizione di assoluta originalità e magnificenza.

Narisawa è nato nell’aprile del 1969. Nel curriculum tanto in comune con centinaia di altri cuochi giapponesi, tanta Francia stellata (a partire dal 1988, diciottenne) ma anche un anno in Italia, il 1992, da Ezio Santin dell’Antica Osteria del Ponte alla Cassinetta di Lugagnano vicino a Milano: «Lo ricordo bene, quelli bravi li noti subito e non li scordi». Nel 1996 si sente pronto. Torna in Giappone e a Odawara, città di mare a sud di Tokyo, apre La Napoule. Sette anni e nel 2003 si trasferisce nella capitale, nel distretto di Aoyama e cambia l’insegna, che diventa quella che conosciamo tuttora: Les Créations de Narisawa.

Le creazioni di Narisawa perché Yoshihiro ha voluto rendere più chiaro possibile il fatto che la sua cucina non è né strettamente giapponese, stratificata nei secoli secondo ferrei codici, ma nemmeno occidentale. È la sua, la sintesi tra la natura, i tempi e le anime del Paese del Sol Levante e tutto quello che ha appreso in otto anni di gavetta europea: cucina d’autore, alta cucina eurasiatica.

Motore della continua ricerca di Narisawa è la Natura attraverso cinque temi ben precisi: Terra, Acqua, Fuoco, Carbone e Foresta. Ma anche scandendo riti e ritmi del Calendario delle festività nazionali di dove è nato, vive e lavora, date che scandiscono ben precisi momenti di natura e stagioni in un profondo rapporto con le materie prime: «L’uomo non dovrebbe limitarsi a consumare un piatto, ma dovrebbe assorbire la vita stessa racchiusa in quello che viene proposto. Nel mio Paese c’è l’abitudine di sentire il passaggio del tempo che cambia dal colore e dall’aspetto dei fiori e dei prati, dal cinguettio degli uccelli, dal soffio del vento, dalle fasi lunari, e lasciandosi trasportare, contemplare la gioia delle quattro stagioni. Stando immersi nella natura, se ne può cogliere la nascita, il pieno rigoglio e i suoi lasciti. Ogni momento ha la sua bellezza, e a questa bellezza è legato un senso di malinconia. I giapponesi ritengono che in tutte le cose ci sia una divinità, e che si debba proteggere lo spirito di questi elementi che ci danno gli ingredienti. Inoltre questo paesaggio naturale, che è stato ucciso dall’uomo stesso, rivive un’altra volta in ogni piatto». Da qui la grandezza della cucina di Narisawa.

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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