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Se oggi, a Manhattan, per provare un'autentica modern french cuisine non serve più vestirsi come Gordon Gekko, e nemmeno avere la sua liquidità, è (anche) perché Paul Liebrandt, inglese, dieci anni fa emigra a New York e decide, qualche anno più avanti, di alleggerire con criterio la formula del ristorante francese di lusso. A 35 anni, il ragazzo ha raccolto stelle e consensi che pochi chef della sua generazione possono vantare. Ma la storia parte da lontano. Gli special thanks vanno a Marco Pierre White, innanzitutto. Nel ristorante eponimo di Londra, dal 1994 al 1996, il giovane Paul apprende, con diligenza, la grammatica culinaria francese. La perfeziona da Raymond Blanc a Oxford, impara a padroneggiarla da Pierre Gagnaire a Parigi. Nel 1999 il salto Oltreoceano e una partenza col botto: Bouley Bakery di David Bouley. Poi la voglia di fare tutto da solo: Atlas e Papillon ricevono rispettivamente tre e due stelle del New York Times, molti elogi – «un pianista che sembra aver trovato un paio di dozzine di accordi in più» – e qualche critica per una sperimentazione a tratti autoreferenziale. Nel 2007 nasce Corton, sulle ceneri del Montrachet. Per lo chef è finalmente il luogo della maturità e degli eccessi pacificati. Per New York un nuovo modo di interpretare il lusso contemporaneo no frills, pur trattandosi di un bistellato Michelin. Non a caso siamo a Tribeca, quartiere moderno, casual e vibrante, un po’ come la cucina di Liebrandt. La scuola classica è un'eredità preziosa e non un peso (te ne accorgi nelle cotture da maestro e nella perfezione della pasticceria) ma lo sguardo è aperto al mondo, soprattutto a Oriente. Nel 2008 Frank Bruni del NYT ha scritto che la sensazione principale, alla fine di una cena, era quella di non ricordare i piatti. Era un complimento, molto centrato. Lo stile di Liebrandt è di una godibilità e facilità estreme, e «non è necessario fare l’inventario mentale degli ingredienti o ricostruire il puzzle dei sapori per apprezzare la sensualità di un piatto». Il piacere immediato ha il sopravvento sulla parte speculativa. Senza prescindere dal prodotto. Nelle cucine del Corton entrano solo materie prime di stagione e statunitensi, come l’eccezionale Mangalitsa Pork, da una fattoria dell’Ohio. Un localismo nazionalistico. Anche se lui tiene sempre a precisare – con l’accento di Chelsea e lo sguardo sbruffone – che è inglese. An Englishman (chef) in New York.
di
Romano, scrive di enogastronomia e viaggi sul Sole 24Ore e collabora con numerose testate, tra cui La Repubblica e L’Uomo Vogue. È docente allo Iulm e lecturer in Food Media per diversi college americani. Twitter @fdecesareviola
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David Toutain, cuoco francese, da dicembre 2013 chef del ristorante omonimo al 29 di rue Surcouf, Parigi, +33.(0)1.45501110. Per l'ottava edizione della Guida ai ristoranti di Italia, Europa e Mondo di Identità Golose, in uscita a novembre, è lui il Miglior cuoco straniero. Succede nel riconoscimento a Pascal Barbot (2008), Renè Redzepi (2009), Josean Alija (2010), Inaki Aizpitarte (2011), Giovanni Passerini (2011), Daniel Humm (2012) e Kobe Desramaults (2013)