04-02-2023

Sette piccole rivoluzioni attorno alla pasta: i protagonisti, le idee e i piatti del congresso

Giuseppe Iannotti, Marco Ambrosino, Michele Lazzarini, Karime Lopez e Taka Kondo, Dario Pandolfo, Gianluca Gorini, Cristiano Tomei. Tutta la cronaca della quattordicesima edizione di Identità di Pasta

Michele Lazzarini, da poco al timone di Contrada

Michele Lazzarini, da poco al timone di Contrada Bricconi, Oltressenda Alta (Bergamo), qui nella lezione di "Identità di Pasta" 2023, costruita in collaborazione con Felicetti. Accanto a Lazzarini, il suo ex pigmalione Norbert Niederkofler (foto Brambilla/Serrani)


Testi a cura di Marina Alaimo, Caterina Lo Casto e Davide Visiello

Giuseppe Iannotti
Kresios, Telese Terme (Benevento)
“Made in Sannio”, titola l’intervento di Giuseppe Iannotti che con ostinazione è riuscito nell’intento di richiamare gli appassionati di alta cucina del mondo in questa zona interna della Campania. Precisamente Telese, la cittadina delle acque benefiche e delle terme, dove si veniva al massimo alla ricerca di una trattoria dove mangiare alla buona. Iannotti apre questa quattordicesima edizione di Identità di pasta. A moderare c’è Eleonora Cozzella che ci ricorda, insieme a Riccardo Felicetti, presidente del gruppo pasta di Unionfood, e quarta generazione del Pastificio Felicetti di Predazzo (Trento), quanto sia stato rivoluzionato il settore della pasta secca negli ultimi 15 anni, specie nell’alta ristorazione dove, al di là del sud Italia che lo considera elemento cult e identitario, veniva spesso snobbato. Oggi un po’ tutti hanno in carta un piatto di pasta secca e, in molti casi, c’è un lavoro di interpretazione della stessa molto stimolante e vivace, che non la vede unicamente come base di un condimento.

Kresios, il fine dining di Iannotti, è raccontato nella sua presentazione video come un fantastico formicaio, operoso e intelligente, disciplinato. Classe 1982, segue un percorso insolito, come un po’ tutto quanto lo riguarda: ingegnere, dopo la laurea decide di seguire la sua passione per la cucina e si iscrive alla scuola alberghiera. Il piatto rivoluzionario che dà il via a Identità di pasta 2023 è “Pastina con il formaggino”, nel quale la rivoluzione è doppia, sentimentale e di tecnica. L’ultimo elemento è al servizio del primo nel comune intento di rievocare la memoria dei sapori, quella dell’infanzia, la più forte, e del gesto più dolce che esista, la mamma che imbocca il suo piccolo cercando di rendere piacevole al massimo questo momento di crescita e di grande complicità. Molti forse non lo dicono, ma se lo preparano ancora per ritrovare quegli istanti. Probabilmente è andata così anche per lo chef che a tavola la serve proprio in quel piccolo piatto colorato di melanina con Mickey Mouse sul fondo, e con il cucchiaino di caucciù.

Ma dove entra la tecnica? Nella preparazione del formaggino, che parte da un prodotto amatissimo, la mozzarella di bufala campana, adorato nel pieno rispetto della sua essenza che impedisce allo chef di tagliarla o pensare minimamente di rompere la sua perfezione fisica e gustativa. La mozzarella si morde e basta. Il suo formaggino di mozzarella di bufala viene preparato con gli elementi di lavorazione della stessa, ovvero latte, panna e siero, quell’acqua calda che la fa filare fino al punto di essere mozzata dalle le mani esperte del casaro. Rotta la cagliata, si pone in un sacco per separarla dal suo latticello, ed ecco che il formaggino di Iannotti è pronto. In quel latticello viene immersa la pastina, dopo essere stata cotta in acqua di osmosi, ossia priva di sali minerali. Il formato rappresenta a sua volta una sfida, essendo poco considerato e quindi non proprio facile da valorizzare, il seme di melone, dallo spessore consistente e piacevolissimo da mangiare. A questo punto avviene la mantecatura della pasta con il formaggino, servita cremosa, come un risotto, golosa, e una foglia d’oro triangolare richiama a sua volta il formato pret a manger dei celebri formaggini della nostra infanzia. Nel sapore c’era il ricordo che inevitabilmente ha dato impulso all’emozione della quale troppo spesso abbiamo timore, erroneamente, anche lasciarsi andare in tutto ciò richiede coraggio, il sentimento che anima e innesca ogni rivoluzione. (Marina Alaimo)

Con Giuseppe Iannotti, la giornalista Eleonora Cozzella, moderatrice dell'intera giornata

Con Giuseppe Iannotti, la giornalista Eleonora Cozzella, moderatrice dell'intera giornata

Pastina con il formaggino, Giuseppe Iannotti

Pastina con il formaggino, Giuseppe Iannotti


Marco Ambrosino
Collettivo Mediterraneo
Marco Ambrosino porta con sé sempre la sua piccola isola, Procida, una costante sulla quale ha costruito un importante percorso di crescita. Da qui prende origine la sua grande passione per il Mediterraneo, la storia dei suoi popoli che si incrocia di continuo con il mondo del cibo e del vino, elementi importantissimi intorno ai quali si sono espansi e hanno radicato le proprie culture. La pasta c’entra moltissimo con l’iter dei popoli del Mediterraneo, nasce proprio qui la genialità della pasta secca, un intuito che ha rivoluzionato la storia d’Italia, fino ad espandersi in altri paesi. Una riflessione centrale nel lavoro di Marco al 28 Posti di Milano, nel quale si era impegnato a valorizzarla essendo la  ristorazione milenese poco frequentata da questo elemento. La sua rivoluzione è totale, nel senso che ha pensato la pasta come una materia da lavorare, e non come una base di condimento.

Fino ad ottenere una salsa di fermentazione della pasta, con la quale condire la stessa, la sua Pasta di conserva. Ma non solo, per la prima volta si serve in un ristorante il vino di pasta, che fondamentalmente è ricca di zuccheri. Il processo non è molto diverso da quello della fermentazione del riso per il sakè, mentre il prodotto finale è pensato secondo il gusto italiano che vuole nel suo equilibrio una spinta acida a dare piacevolezza di beva. Mette insieme tecnica, innovazione e recupero di quella pasta avanzata nel fondo degli scatoli in dispensa. Si tosta a secco in padella perché cambi la sua consistenza, poi viene cotta a metà in acqua bollente e lasciata a temperatura ambiente perché si stabilizzi. Per il processo di fermentazione si scava nella memoria mediterranea, e di casa propria, dove si utilizzavano i barattoli di terracotta per preparare le alici sotto sale.

Proprio in quei barattoli, la pasta viene alternata a foglie di fico e di vite sbollentate, aromatizzata con noce moscata, e lasciato il tutto a temperatura controllata perché parta la trasformazione degli amidi. Così quella salsa di pasta e foglie di vite fermentate condisce un piatto di pasta mista che Ambrosino serve accompagnata da un bicchiere del suo Ippocrasso di vino di pasta. Quest’ultimo molto piacevole, poco alcolico, la vera rivoluzione sta proprio in quel bicchiere, dove una materia di scarto diventa bevanda apprezzata e innovativa, come nessuno prima l’aveva pensata in precedenza. (Marina Alaimo)
Pasta di conserva, Marco Ambrosino

Pasta di conserva, Marco Ambrosino



Michele Lazzarini
Contrada Bricconi, Oltressenda Alta (Bergamo)
Il progetto di Michele Lazzarini esposto a Identità di pasta 2023 arriva in maniera particolarmente interessante, fedele al luogo di partenza che è Contrada Bricconi, l’agriturismo in Val Seriana che ha permesso a questo piccolo borgo di montagna di riprendere a vivere. Michele e il suo sous chef arrivano da una esperienza molto formativa in questo ambito, quella svolta presso il St Hubertus, al fianco di Norbert Niederkofler. Fine dining di montagna, è scritto sul sito web di Contrada Bricconi, in realtà è molto di più, e l’idea del piatto presentato ne dà chiara visione. “Ogni giorno è una rivoluzione da noi”, dice lo chef, il piccolo territorio della Val Seriana è la nostra dispensa, e anche una comunità che entra attivamente nel progetto dell’agriturismo.

Spaghetto con grasso e uova di trota e rabarbaro va oltre il piatto, sfora di molto il suo spazio, diventando azione rivoluzionaria che ha dato forma ad una catena virtuosa di riciclo del materiale di scarto, a bassissimo impatto ambientale. Un valore aggiunto notevole e da premiare per la sua efficienza. L’idea nasce al vicino Bar della trota, dove Michele si approvvigiona di trote salmerino, dalla vasca di allevamento, eccellenti nella qualità, grazie anche alla purezza dell’acqua utilizzata. Con le carcasse ottiene un grasso per condire gli spaghetti, il risultato al gusto è molto apprezzato, per cui il piatto entra in menù con successo. Si innesca a questo punto il circolo virtuoso: l’allevamento concede ai ragazzi gli scarti delle trote, liberandosi dei costi per smaltirli.

Allo stesso tempo questi si ritrovano una materia prima a costo 0, dalla quale ricavano un brodo, i grassi da questo ottenuto diventano il gustoso condimento della pasta, spaghetti monograno mat (coltivato solo nell’areale di Manfredoni), cotti direttamente nell’acqua di risulta del brodo stesso. Le uova delle trote sono affumicate sulla brace, il fuoco amatissimo a Contrada Bricconi. A questo punto entra in scena il rabarbaro, che caratterizza ulteriormente il piatto, con la sua spinta di freschezza, emulsionato al grasso di trota. Vorremmo sentire e gustare infinite storie come queste, perché è solo qui che alberga la speranza. (Marina Alaimo)
Spaghetto con grasso e uova di trota e rabarbaro, Michele Lazzarini

Spaghetto con grasso e uova di trota e rabarbaro, Michele Lazzarini



Karime Lopez e Takahiko Kondo
Gucci Osteria da Massimo Bottura, Firenze
«Non è facile per un giapponese imparare la lingua italiana. Ancora più difficile è imparare il linguaggio della cucina». Sorride Takahiko Kondo da Tokyo sul palco di Identità di pasta 2023; sarà l’allegria che ha assorbito in Italia negli ultimi 18 anni, sarà perché al suo fianco, sul palco, nella vita e nel lavoro, c’è la sua compagna Karime Lopez. I due cuochi sono genitori di una bambina di un anno e, dalla scorsa primavera, indossano entrambi la toque da chef della Gucci Osteria da Massimo Bottura di Firenze. Lopez, prima donna messicana ad aver cucito la stella Michelin sulla giubba, tiene a precisare: «Il piatto che presentiamo è un omaggio all’Italia e alla nostra nuova memoria. Non abbiamo avuto timore reverenziale nel trasformare la pasta, intoccabile in questo paese, perché non abbiamo un legame storico con essa. Essendo stranieri, abbiamo avuto la leggerezza di vedere la tradizione italiana in altro modo». Arriva così la premessa di Takahiko: «Ho sempre fatto confusione tra le parole cannolo, cannellino e cannellone. Da questa confusione linguistica abbiamo ideato il piatto e quello che tutti conoscono come dessert diventa un primo». Il cannolo che vuole diventare un cannellone è ripieno di ricotta salata e ragù, completato con arancia candita e granella di pistacchio. La particolarità è che la cialda esterna, friabile, gustosa e leggera, è un mix di pasta di farro Monograno Felicetti e farina di cannellini. «Non essere italiani carica di entusiasmo la ricerca della scoperta – dice Karime – Ci sentiamo liberi di rivoluzionare una ricetta, ma il nostro non è mai un tradimento». Nell’impasto della cialda è stato aggiunto del vino Chianti e il ragù è di bovino razza Chianina. «Vogliamo celebrare così il nostro incontro con l’Italia – conclude la chef – con la Toscana, con il territorio che adesso chiamiamo casa». (Davide Visiello)
Il cannolo che vuole diventare un cannellone, Karime Lopez e Takahiko Kondo

Il cannolo che vuole diventare un cannellone, Karime Lopez e Takahiko Kondo



Dario Pandolfo
Cala Luna de Le Calette, Cefalù (Palermo)
Ritornare a casa quando tutto intorno induca invece ad allontanarsene. «È questa la vera rivoluzione». Sul palco di Identità di Pasta 2023, non ha dubbi Dario Pandolfo, originario di Milazzo (Messina), executive chef del Cala Luna, ristorante fine dining del resort Le Calette a Cefalù (Pa). Il cuoco classe 1991, dopo anni di lunghe esperienze in giro per l’Italia e l’Europa (5 dei quali nella cucina di Norbert Niederkofler), ha trovato motivazioni speciali per rientrare nella sua Sicilia: «Sono partito quando avevo 14 anni e non conoscevo nulla della mia terra; oggi sto scoprendo la sua sensazionale biodiversità e la sua ricchezza di prodotti e di eccellenze». Pandolfo ha presentato due piatti tecnici e di gusto, che hanno messo in bella mostra il patrimonio gastronomico di Trinacria: «Rifornirsi di una materia prima da piccoli produttori locali per me oggi è diventato imprescindibile, non solo per una scelta di sostenibilità ambientale ma prima di tutto etica». Gli Spaghettoni Felicetti al pomodoro in bianco con gamberi di nassa, la loro salsa, basilico e ricci di mare completano la cottura in acqua di pomodoro Pizzutello estratta da un’etamina e vengono mantecati con una noce di burro. Il piatto viene servito con gamberetti di nassa eoliani, polvere di peperoncino, un cucchiaio di ricci di mare ed un filo di olio di vinacciolo al basilico. Più lungo il tempo di lavorazione per i Ditalini alla cipolla di Giarratana e tuma persa; ditalini di farro Monograno Felicetti che completano la cottura in una riduzione di cipolla e vengono poi impiattati con polvere di cipolla, briciole di pane e una spuma di tuma persa. Esprimere un territorio attraverso i suoi prodotti e le sue persone e ridurre l’impatto sulla terra attraverso scelte consapevoli: «Deve essere questa la missione e la rivincita dei cuochi della mia età». (Davide Visiello)
Ditalini alla cipolla di Giarratana e tuma persa, Dario Pandolfo

Ditalini alla cipolla di Giarratana e tuma persa, Dario Pandolfo



Gianluca Gorini
DaGorini, San Piero in Bagno (Forlì-Cesena)
"Radici future", titola la sua lezione Gianluca Gorini, che parla del suo presente, di Appennino tosco-romagnolo, di terpeni (quelli delle piante) e boschi. Come nell’insegna del suo locale a San Piero in Bagno i germogli sulla G. di Gorini sono alberi in potenza, anche la sua cucina è la sommatoria delle esperienze, che sbocciano se si rileggono con la sensibilità del “qui ed ora”. «Non scindo lavoro e vita e devo per questo ringraziare Sara, la mia compagna, che 5 anni fa, quando abbiamo aperto, mi ha fatto capire cosa era veramente importante; nel mentre abbiamo avuto un figlio e siamo tornati sull’ Appennino per vivere in maniera autentica». La cucina di Gorini è energica ma intima come il luogo in cui nasce, San Piero in Bagno. Questo borgo permette di intessere relazioni profonde e durature, anche con i produttori, e i primi piatti che porta a Identità di Pasta raccontano i suoi paesaggi, tra il noto e l’inedito. Gli spaghetti tiepidi al pesto di montagna sono balsamici al punto giusto, l’estratto a freddo di aghi di cipresso è emulsionato a un classico pesto, a cui dona profondità e mistero. Gli spaghetti sono poi serviti con ostrica perla rosa del Delta del Po scottata e crema patate cotte sotto la cenere condite con olio d’oliva dove vengono spenti dei tizzoni per aumentare il gusto affumicato. La fiamma è vita, la brace è molto presente nella cucina dello chef. Gorini presenta anche dei tubetti Monograno Felicetti cotti in infuso di tè nero affumicato Lapsan Souchong. È inverno e si usa il burro come base grassa per mantecare la pasta, poi Parmigiano e crema di topinambur. Si aggiungono timo, scaglie di tartufo Melanosporum e whiskey torbato per aumentare la profondità dei sentori terrigni e legnosi. (Caterina Lo Casto)
Tubetti Monograno Felicetti cotti in infuso di tè nero affumicato Lapsan Souchong, Gianluca Gorini

Tubetti Monograno Felicetti cotti in infuso di tè nero affumicato Lapsan Souchong, Gianluca Gorini


Cristiano Tomei
L’Imbuto, Lucca
La pasta è valore fondativo della cultura mediterranea. Un portato arabo, arrivato sino alla contemporaneità per la potenza del suo gusto perché bollita, scolata ed eventualmente abbracciata a un sugo che ha il sapore dell’evoluzione umana. «La parola più maledetta della cucina è semplicità, perché non esiste far cucina semplice, è come se ci fosse un rapporto poco rispettoso con l’atto di preparare dei piatti  “sempici”» dice lo chef viareggino. Abbiamo forse perso il focus sul vero valore della cucina, degli ingredienti e del mangiar bene? Cristiano Tomei ci ricorda, poi, che fino agli anni Ottanta la pasta non veniva nè spadellata nè risottata, ma semplicemente condita a fine cottura, perché a nessuno interessava che rilasciasse troppo amido, perché veniva per l’appunto (e talvolta ancora oggi) definita “asciutta”, non “cremosa”. Da questi concetti chiave muove la bella lezione dello chef, che propone tre primi piatti omaggio all’hotellerie italiana. Si parte con un minestrone fatto solo con la minestra, diversi formati di pasta cotti a vapore e reidratati con estratti vegetali: i pennoni nel sedano, le mezzamaniche nella rapa rossa, i tubetti nel cavolo nero, le lumache nel cipollotto. Le stelline, cotte in abbondante acqua, finite a bagnomaria con midollo di manzo, carota, sedano, cipolla, estratto di aromatiche e concentrato di pomodoro sono “robuste” e carnose; e ancora gli spaghetti spezzati (asciutti) al ragù non mantecati, serviti a strati, con parmigiano. La rivoluzione passa anche dal piacere carnale, dal ricordo di tutto ciò che c’è stato prima, dalla densità dei sapori. (Caterina Lo Casto)
Il "minestrone" di Cristiano Tomei

Il "minestrone" di Cristiano Tomei


IG2023: signore e signori, la rivoluzione è servita

a cura di

Identità Golose