30-01-2023

Identità Sud America: la rivoluzione al Sud dell'Equatore

Tutto quello che perdere non si può sulle ipnotizzanti lezioni di Florencia Montes, Mariano Guardianelli e Juan Camilo Quintero Merchan in scena nel corso della prima giornata di Identità Milano2023

Florencia Montes, Mariano Guardianelli e Juan Cami

Florencia Montes, Mariano Guardianelli e Juan Camilo Quintero Merchan: i tre protagonisti delle altrettante lezioni di Identità Sud America. Tutte le foto sono a cura di Brambilla-Serrani

Prima giornata di Identità Milano 2023, 18esima edizione e una nuova sezione che si aggiunge alle tante che già conosciamo e che, per freschezza del tema scelto quest’anno, (lo ricordiamo Signore e signori, La Rivoluzione è servita), si rinnovano e si arricchiscono di sfumature inaspettate. Ebbene, diamo invece il benvenuto a Identità Sud America, uno spazio per celebrare la creatività d’Oltreoceano. Una terra tanto lontana quanto vivace, prolifera; un infrenabile laboratorio, una fucina di idee che si modellano sulla parabola della sostenibilità ambientale e sociale, sulla contaminazione tra sapori di partenza e la terra d’arrivo per i tanti chef sudamericani nel mondo; un territorio in cui la voce dell’enogastronomia riesce ad avere un impatto concreto e diretto sulla vita quotidiana di tante piccole comunità.

Ce lo hanno raccontato, ciascuno mescolando le sue variegature, Florencia Montes, ex-Mirazur e quasi pronta ad entrare in scena nel suo nuovo ristorante, Onice, che aprirà nei prossimi mesi a Nizza assieme al suo compagno, Lorenzo Ragni; Mariano Guardianelli, chef di Abocar due cucine nel cuore della Riviera Romagnola, a Rimini e, in ultimo, ma non per ordine di importanza, Juan Camilo Quintero Merchan, il giovane chef colombiano al timone del Poggio Rosso del Borgo San Felice, resort Relais & Châteaux a Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena.

 

FLORENCIA MONTES: La sostenibilità nella concezione di un ristorante

Terra d’origine: Argentina…e c’è un piatto che è particolarmente caro alle famiglie di La Plata, l’Asado de tira. I quarti posteriori e inferiori, quindi le costine di manzo vengono cotti lentamente alla brace, la carne quasi si scioglie sulle ossa e, una volta in tavola, alla domenica, è pura gioia, delizia, unione. Identità culturale. Parliamo di uno di quei tagli da sempre considerati scarto, dal momento che la massiccia esportazione verso i Paesi europei – soprattutto l’Inghilterra -, prediligeva pezzi più magri e tagli più pregiati. Ed ecco che ciò che avanza, diventa invece fabbisogno necessario e graditissimo delle famiglie argentine, dei gauchos, che fanno di necessità virtù, oltre che un ottimo asado.

Ebbene, un giorno, in vista della preparazione di un fondo, tra una montagna di scarti Florencia trova esattamente il taglio usato in Argentina per l’asado e, in assenza di brace, sceglie di affidarlo a una lunga cottura, protetto dal contatto diretto con il calore, dalle ossa. Il risultato è una carne succosa, scioglievole grazie alle infiltrazioni di grasso intramuscolare che la rendono tenerissima. E sarà la carne l’ingrediente focale del piatto, una scelta per giunta sostenibile.

Asado de tira, mirtillo, radicchio: la carne bovina cuoce lentamente protetta dagli ossi; viene poi servita con una salsa al mirtillo fermentato, conservato nel suo periodo di maturazione per ovviare alla sovrapproduzione, ricreando la nota acetica tipica del chimichurri, mentre più rotondo e umami assoluto è l’aglio nero. Ultima nota, questa volta lievemente amara, il radicchio caramellato

Asado de tira, mirtillo, radicchio: la carne bovina cuoce lentamente protetta dagli ossi; viene poi servita con una salsa al mirtillo fermentato, conservato nel suo periodo di maturazione per ovviare alla sovrapproduzione, ricreando la nota acetica tipica del chimichurri, mentre più rotondo e umami assoluto è l’aglio nero. Ultima nota, questa volta lievemente amara, il radicchio caramellato

Sì, avete letto bene, sostenibile perché è possibile rendere oggetto di investigazione la carne, il cui consumo non va demonizzato, bensì responsabilizzato. Comprando, per esempio, l’animale intero; studiandosi di usare ogni singola parte dell’animale; non prevedendo necessariamente un taglio uguale per ciascun commensale, ma attraverso un menu degustazione, avere la libertà di proporre di volta in volta, a seconda della disponibilità del proprio paniere. Sarà questa una parte fondamentale della filosofia di avvio della prossima apertura di Florencia Montes e del suo compagno – cuoco anche lui – Lorenzo Ragni: la vera rivoluzione è una sequenza di singole scelte quotidiane che, nel caso dell’apertura di una nuova attività, talvolta corrispondono proprio alla scelta più naturale da attuare, se non la più logica per poter sostenere un ristorante. Quanti giorni restare aperti? Quanti dipendenti assumere? Quanti coperti? E poi la scelta di affidarsi a un ventaglio di produttori, di accontentarsi delle quantità che riescono a reperire, senza forzare le produzioni. La necessità di preservare quando un ingrediente stagionale è in sovrapproduzione e di passare molto più tempo in cucina, perché la trasformazione dell’ingrediente, è una virtù e una soluzione anti-spreco. Oggi sarebbe impossibile ignorare tutto questo e il cambiamento deve potersi manifestare in un’inversione di marcia, attraverso una serie di attenzioni e premure verso il futuro. Senza mai volgere le spalle alla propria identità. Che è tutto.

 

 

MARIANO GUARDIANELLISudamerica e il flusso migratorio

Abocar vuol dire avvicinare, lasciare che due culture si leghino amichevolmente. In cucina tutto ciò accade quando quest’ultima si tinge dei colori della diversità.

In quale momento, si innesca una rivoluzione? Per alcuni è l’attimo in cui tutto scoppia, mente si resta improvvisamente scossi, spaesati. Per altri - ed è il caso di Abocar due cucine, il ristorante di Mariano Guardianelli a Rimini – si tratta di situazioni che evolvono pian piano, quasi senza che ce ne accorgiamo. Ci si ritrova, poi, catapultati in un nuovo equilibrio: la rivoluzione è già bella e fatta. Ebbene, in che modo applichiamo tutto questo alla gastronomia?

Facciamo un salto indietro nel tempo: corre l’anno 1492, quando si assiste al primo evidente contatto dell’Europa con il Nuovo Mondo, un incontro che introduce un inatteso scambio di ingredienti e questa fu una rivoluzione fuori misura. Così, chi vede una patata la prima volta, inizia a coltivarla e a consumarne solo le foglie che, però sono tossiche. Risultato? La patata viene scartata e non viene più utilizzata per un bel pezzo. Passeranno anni e nell’ ‘800, la stessa patata salverà il popolo irlandese da una carestia. Questo perché l’uomo non stabilisce un’immediata confidenza con il prodotto; investiga e solo col tempo, lo accetta.

Questo fenomeno, nel tempo in cui scriviamo, non si è ancora arrestato; tanta è ancora la ricerca su quegli stessi ingredienti giunti sul Continente oltre 500 anni. Ma adesso, è tempo di guardarli con occhi nuovi. A cominciare da Mariano Guardianelli che, per esempio, posa lo sguardo sulla yuca, una radice tipica dell’Argentina, che lo chef impara a conoscere, in realtà, solo in Italia, quando si dedica a un apprendimento totale focalizzato sul paniere di ingredienti sudamericani. Era a base di yuca il primo snack servito sulle tavole di Abocar 10 anni fa, quando Guardianelli apre il suo ristorante nel cuore della Riviera Romagnola, a Rimini, e lo fa utilizzano un approccio molto semplice. La yuca, infatti, veniva semplicemente pelata, messa in forno e trasformata in una chips, non garantendo però lo stesso grado di croccantezza di volta in volta, che mutava a seconda della qualità della singola radice. Di qui il desiderio di migliorarsi e migliorare, potenziando ulteriormente la ricerca. Punto di partenza: far leva sul quantitativo di amido (generalmente molto alto) contenuto naturalmente nella radice.

Yuca e maionese allo scalogno romagnolo

Yuca e maionese allo scalogno romagnolo

Ne ottiene una massa che viene cotta come una tortilla, conservando a pieno l’essenza dell’ingrediente. Un breve passaggio in forno ed ecco un disco fragrante, servito con una maionese vegetale a base di soia e scalogno romagnolo. La nuova veste di uno stuzzicante inizio per gli ospiti di Abocar.  E dal momento che per ogni inizio, subentra anche una fine, il secondo piatto presentato da Guardinelli è un dessert, un dolce “che sa di casa”, a base di zucca sciroppata e formaggio fresco. Si tratta di una preparazione che prende le mosse dalla tecnica della nixtamalizzazione, ovvero la cottura di un ingrediente in una soluzione alcalina, utilizzata sin dai tempi degli Aztechi per la preparazione del mais. Nel corso di questo processo viene liberata la vitamina pp, chiamata anche B3: esattamente come nel caso della patata, quando il mais inizia a circolare in Francia, nessuno sapeva effettivamente come prepararlo, ragion per cui, a un crescente consumo dello stesso, coincide la diffusione di una malattia che ne arresta temporaneamente l’uso in cucina. Ma il tempo genera scoperta, ricerca, conoscenza e ancora una volta vengono ristabiliti gli equilibri. Tornando alla preparazione, è proprio la nixtamalizzazione ad agire sulla zucca – varietà violina -, che non si sfalda, ma resta croccante fuori e morbida, quasi spalmabile nel cuore.

Zucca, mascarpone e rosmarino

Zucca, mascarpone e rosmarino

Gli zuccheri dello sciroppo classico (ne viene ridotta la dose), lasciati ad essiccare davanti a un ventilatore, cristallizzano e restituiscono una zucca-caramella. Il cubetto viene così raggiunto dall’acidità tenue, avvolgente e tutta italiana del mascarpone che prolunga la morbidezza della zucca in bocca, poi croccante meringa e olio infuso al rosmarino, nota balsamica che chiude il piatto.

Cos’è rivoluzione? Ci risponde Mariano: «Ogni piccola scoperta; l’evoluzione della tecnica è anch’essa rivoluzione».

 

 

JUAN CAMILO QUINTERO MERCHANDalle Ande agli Appennini: una cucina italiana di tonalità esotiche

«Rivoluzione. È una parola che ha un suo peso, e che ho deciso di declinare in un racconto sincero che si intreccia alla mia storia. Mi piace intitolarla, Dalle Ande agli Appennini, perché questo è nient’altro che il mio viaggio da Bogotà alla Toscana». Introduce così la sua lezione Juan Camilo Quintero, del Poggio Rosso al Borgo San Felice, quel luogo in cui crea e pensa rimanendo fedele alle sue origini, ma sempre valorizzando la terra da cui è stato adottato, l’Italia, lì dove scopre, di volta in volta, un aspetto straordinario: tra i tanti ingredienti generalmente ritenuti nostrani, c’è sempre qualcosa che, invece, arriva da molto lontano: il caffè che beviamo al mattino; il pomodoro sulla pasta; il pepe macinato fresco sulla Carbonara.

Poi c’è il mais, che agli occhi di un italiano è nella maggioranza dei casi, una buona calda polenta; nel vocabolario-Quintero, invece, mais vuol dire arepas, chicha (una bevanda a base di mais fermentato), tortillas. Uniformità da un lato; molteplici possibilità dall’altro. Cosa ci siamo persi? Nel corso del lungo viaggio del mais, oltre all’ingrediente non viene esportata la conoscenza necessaria per cucinarlo come si deve. Ma esistono eccezioni: la cucina del Poggio Rosso, per esempio, lì dove prende vita una cucina vivace, colorata, etnica, se questa parola si impegna a stimolare riflessioni su tutti quei prodotti introdotti “da fuori”, interrogandosi su come presentarli. Etnico vuol dire anche ricordare che non solo gli ingredienti, ma prima ancora, sono soprattutto le persone a muoversi, a emigrare avviando un processo di contaminazione. Miscele di origini destinate a crescere ulteriormente nel tempo, processi che si accentuano e, inevitabilmente, si riflettono nella sostanza della cucina contemporanea del mondo. «La membrana della nostra identità però, - commenta Quintero - deve essere sempre semipermeabile, quindi dobbiamo sì far entrare e uscire prodotti, ma anche conoscenza».

Gnocco di mais, ostrica limone, fumetto di mare e titote

Gnocco di mais, ostrica limone, fumetto di mare e titote

A tal motivo, Juan Camilo sceglie di presentare un mais cotto così come si faceva già 2000 anni fa: un metodo di cottura ancestrale, che avviene in acqua e cenere – quest’ultima ottenuta dalla combustione delle pannocchie-. Una volta cotto, il mais viene impastato come un classico gnocco di patate, con farina e dell’acqua. Si lascia modellare dalla bellezza: la forma delicata di un fiore racchiude un ripieno di ostrica limone, immerso in un mare d’acqua di cozza delizioso, intenso, profumatissimo. Merito delle erbe selvatiche piccanti del Borgo: senape, pisello selvatico, artemisia, orecchia di lepre, ma soprattutto del Titote di cocco, una massa ottenuta dalla cottura della noce di cocco fresca e del suo succo che, riducendosi, restituisce un composto grasso, zuccherino, utilizzato generalmente come contorno del riso; nel nostro caso, invece, è il soffritto aromatico in accompagnamento agli gnocchi. Esotico, fresco, iodato boccone: e da bere?

Calima, una creazione 1895 by Lavazza: estrazione a freddo, monorigine Colombia

Calima, una creazione 1895 by Lavazza: estrazione a freddo, monorigine Colombia

Un caffè, ovvero Calima, monorigine colombiana dalla collezione di 1895 by Lavazza; un 100% arabica, estratto a freddo, macinato grossolanamente, lasciato in infusione e poi filtrato. Sorseggiamo una bevanda molto dolce, piacevolmente acidula che ricorda il tè alla pesca, litchi, frutta esotica. Un incrocio di acidità e note intense, pulite, fresche.

Ultimo, ma non per ordine di importanza, rivoluzione per Juan Camilo Quintero è anche stravolgere l’idea per cui sostenibilità voglia significare solo affidarsi di tanto in tanto al contadino, quanto piuttosto progettare in maniera lungimirante; è anche creare qualcosa di completamente nuovo…come il cioccolato, cioccolato verde: l’intreccio di una varietà colombiana di avocado e burro di cacao.

Cioccolato verde: l'omaggio a Fernando Botero

Cioccolato verde: l'omaggio a Fernando Botero

Diventa la base del dessert che omaggia l’artista conterraneo Fernando Botero: la bellezza rotonda delle sue donne diventa l’involucro di una mousse al cioccolato verde, raggiunto dalla sferzata succosa del cedro che rinfresca il grasso dell’avocado; poi, tocchi di salsa all’alchermes e, con un volo supersonico, si ritorna in Toscana.

Note a margine: tra qualche mese, su invito della Nazioni Unite, un team coordinato da Juan Camilo Quintero viaggerà verso la Colombia per sensibilizzare le comunità locali a un uso rinnovato di ingredienti locali, per svilupparne il potenziale e creare ancora una volta qualcosa di nuovo.


IG2023: signore e signori, la rivoluzione è servita

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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