15-11-2012

Diavolo d'un Gilmozzi

La prima parte di un viaggio iniziato a Cavalese. Condotti per mano dal mago dei boschi

Alessandro Gilmozzi nel suo El Molin di Cavalese (

Alessandro Gilmozzi nel suo El Molin di Cavalese (Trento), +39.0462.340074, aperto nel 1990 "con l'ambizione di applicare espressioni gastronomiche capaci di lasciare un segno incisivo che superino il tempo e divengano loro stesse nuova tradizione"

Ma cosa succede in montagna? Cos’è questo vento di follia e creatività che sembra attraversare le grandi cucine alpine? Non solo Norbert Niederkofler dà l’addio al foie gras per realizzare la sua visione di Nuova Cucina Alpina (ve ne daremo conto dettagliatamente nelle prossime settimane) ma ancora una volta il miglior cuoco trentino ha il suo covo a Cavalese. La nostra meta.

Un viaggio iniziatico, un po’ magico, addirittura epifanico non può che cominciare da un passaggio (quasi) segreto. Ed è infatti un portoncino piuttosto anonimo, in una viuzza laterale appena segnata, che ci introduce a El Molin, la casa di Alessandro Gilmozzi. È qui che scopriremo, forse, la cucina dolomitica più estrema, quella che precorre la rivoluzione scandinava e precede di quasi un lustro alcune intuizioni di Redzepi (rileggere il fantastico reportage di Zanatta al Noma) sommandole il fascino di riti antichi e ataviche tradizioni? Chissà.

L'olio extravergine d'oliva e la montagna, primo piatto del percorso di degustazione Essenze

L'olio extravergine d'oliva e la montagna, primo piatto del percorso di degustazione Essenze

Intanto, la prima domanda che ti poni varcata quella porta è: «aiuto, dove diavolo sono capitato?». Forse in un quadro di Escher, quel Relatività che giustappone scale e prospettive, moltiplica i punti di fuoco e intorta i percorsi realizzando sulla carta il sogno del moto perpetuo. Portati quasi a mano da una cameriera androgina che ci precede con impeccabile cortesia, seguiamo un lungo saliscendi che conduce a piccoli soppalchi interni, scalette e corrimano di vecchio legno fino a sprofondare nella pancia dell’antico mulino di Cavalese. Ed ecco, proprio come nelle allucinazioni di Escher, il doppio della nostra cameriera/guida ci viene incontro come in uno specchio. Stessa pettinatura, stesso corpo sottile e affusolato stretto in una divisa mascolina cui veniamo affidati per insediarci al nostro tavolo. Tutto perfetto, lindo promettente, quasi rassicurante.

Poi, dall’unica porta in vetro moderno che dà direttamente alla fucina (ops), volevo dire cucina, ecco l’angelo luciferino. Diavolo d’un santo: Alessandro Gilmozzi compare in una nuvola di vapore, candido come appena partorito dal reparto pignatte. Asceta ispirato che ti carezza con parole di trentina semplicità, non m’inganni. L’istinto dice che c’è odore di zolfo dietro alle tue creature - perdonate la divagazione, ma non a caso questi sono i monti dell’abete rosso e della Foresta dei Violini da cui ha attinto il pregiato legno di risonanza anche Stradivari. Violino strumento del demonio. Chiedere a Paganini.

Superstizioni? La magia di questi luoghi è tramandata da infinite leggende. Certo è che tra questi boschi il nostro cuoco si aggira quasi ogni giorno, cestello di vimini alla mano, scrutando la corteccia degli abeti, in cerca di muschi e licheni e chissà cos’altro. Da 15 anni almeno. E prima di lui il nonno, micologo e naturalista, con licenza di raccogliere le preziose resine del cirmolo e la prozia biologa dilettante… e così via. Ma a che scopo? Lui ci spiega: «Perché così si è sempre fatto da noi, con i muschi si preparavano infusi, le resine, in primo luogo quelle bianche, si masticavano come gomme americane, e poi ci sarebbe il discorso delle formiche…».

1. continua


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Angelo Carrillo

Giornalista, esperto di vini, è tra i maggiori conoscitori della gastronomia e della cultura agroalimentare dell’Alto Adige, e non solo

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