11-11-2020

Valerio Braschi, l’enfant terrible ai fornelli del ristorante 1978 di Roma

Vincitore di Masterchef nel 2017, dallo scorso novembre guida la cucina dell'insegna capitolina, mostrando capacità e passione sincera per il lavoro di cuoco

Classe 1997, di Santarcangelo di Romagna, Braschi

Classe 1997, di Santarcangelo di Romagna, Braschi ha vinto la sesta edizione del talent show

Fuori c’è Roma, che a fatica cerca di recuperare i suoi ritmi, le sue velocità, i suoi eccessi. L’apparente normalità di un quotidiano lontano. I giardini di Villa Torlonia a qualche passo, qualche ultimo spiraglio di sole che aspetta d’essere inghiottito dall'autunno, la Nomentana rumorosa (ma un po' meno del solito) a mandar via onde sonore e vibrazioni in ogni direzione. La capitale è un luogo sospeso, come se il venir meno di alcune coordinate che sembravano definite e inossidabili l’avesse costretta a un’improvvisa, inaspettata precarietà che la veste di una luce nuova, un’apnea diversa. Una roba così non s’era mai vista.

In via Zara, civico 26, una porta rossa e brillante divide l’ingresso del 1978 da tutto quel che c’è fuori. Impossibile non poggiarci lo sguardo sopra, se passi da quelle parti. Il ristorante ha aperto un paio di anni fa, un open space grande quanto basta per capire che degli ospiti ci si prenderà cura per davvero.

È tutto lì, davanti agli occhi, ogni cosa richiama eleganza e scelte precise: se una cosa è al suo posto, lì dentro, c’è un motivo. Cantina a vista, sette tavoli ben distanziati tra legno e ferro e mattoni, sedie in velluto, dettagli posizionati qua e la con senso e cura. Anche la cucina è full screen, separata dalla sala da una grande vetrata che tutto lascia sbirciare. Nel tempo la guida ai fornelli s’è alternata sotto chef diversi: unico punto fermo, a legarli, Gabriella Forte - restaurant manager e donna di sala giovane, competente, premurosa. Lei c’è sempre.

Dallo scorso novembre invece le chiavi della cucina sono nelle mani e negli istinti di Valerio Braschi, classe 1997, da Santarcangelo di Romagna. Professione: finalmente cuoco.

Cuoco vero, dopo un lancio televisivo che poteva far deragliare i suoi desideri in qualcos’altro, da qualche altra parte. Invece lui dalle luci che gli sono piombate addosso all’improvviso, così presto, s’è fatto sedurre poco, capendo subito (fortuna e bravura sua) una grande lezione: se davvero voleva dar forma e sostanza ai suoi sogni era doveroso rimboccarsi le maniche. Al dunque s’è dimostrato un essere speciale, di quelli che vivono il mestiere con rara abnegazione, e una passione che gli ruggisce forte nel petto, trovando compimento e pace soltanto in sequenze e combinazioni d’ingredienti e sapori.

S’è tolto di dosso le luci ed è andato a sporcarsi le mani e la divisa. A studiare, accumulare le esperienze necessarie a capirlo, questo lavoro. «Prima di iniziare la mia avventura - racconta - ho sentito il dovere di risolvere un dubbio con me stesso: "essere o apparire"? E io voglio essere cuoco, definire e memorizzare il gusto che mi scorre nelle vene e riportarlo il più fedelmente possibile a chi siede alla mia tavola».

È tornato a casa e ripartito, ha viaggiato tra Giappone, Vietnam, India: «Ci vivrei per quanto adoro la loro cucina. Per questo ho voluto mettere nel mio menu il ramen e il pho, ma rivisitandoli a modo mio (ne è venuto un piatto intenso che ha chiamato Pho-Men, a metà strada tra i due brodi: soba di grano saraceno e farina 0, uovo di quaglia al miso, carpaccio di anatra marinata, ruta, brodo di umami di anatra arrosto, Ndr). E il curry per altre preparazioni me lo faccio da solo».

Questa al 1978 è la sua prima occasione a capo di una brigata, a prendersi la responsabilità delle decisioni. Ha impostato menu e lavoro sulle cose che gli piacciono, su quello che aveva voglia di fare e sulle sue ambizioni, ma anche assecondando le passioni per tecniche e tecnologie, «molte delle strumentazioni che ci sono adesso al ristorante me le sono portate da casa», sul senso degli accostamenti e la curiosità di esplorare possibilità che accompagnano le materie, se trattate in modo non ordinario.

La sala del 1978

La sala del 1978

Su quest’ultimo passaggio si aprono scenari interessanti. Braschi, per alimentare le mille idee al minuto che gli passano per la testa fa grandi ricerche e studi forsennati: «Di tutte conosco la provenienza, e non compro mai da un unico rivenditore. Voglio ingredienti grandiosi e spesso vado da chi produce soltanto cose specifiche: tutto dai miglior artigiani, che ci diano il meglio, ma sempre tenendo d'occhio il food cost».

A tavola, a seconda dei momenti dell’anno, arrivano caviale di lumache (accompagna e bilancia il suo gusto di "terra bagnata" con del coniglio o un sashimi di tonno marinato, daikon croccante, maionese all’acciuga), plancton marino, wagyu (utilizza la lingua, assieme a salsa di wagyu arrosto, rafano e verdurine), bisonte (ne fa un cuore affumicato).

Non ce la fa, ad essere banale. Se gli chiedi un risotto lo tira fuori alla prescinseua, spugnole al burro e prezzemolo e un fondo di piccione. Le tappe che si percorrono nei degustazione (ce ne sono due, da sei e dieci portate) sono pura adrenalina, montagne russe alla massima velocità e pendenza. È una cucina molto ragionata - la sua - tecnica, materica. Valerio ama perdutamente perdersi nel mondo (in portate come il Curry indiano di gamberi o il già citato il Pho-men), con intuizioni fulminee protese verso oriente, e simultaneamente crogiolarsi nelle sue certezze.

Curry indiano di gamberi

Curry indiano di gamberi

Ci sono piatti che conosce a memoria, parte del suo background romagnolo, come il Ragù della nonna (di salsiccia, lardo e pepe, servito nel pentolino di rame e da mangiare con una fetta di pane abbrustolito: commovente e mai uscito dal menu), oppure A Priscilla, goloso bottone ripieno di parmigiano liquido e tartufo, fondo di manzo, caviale di the bancha, mousse di patate dolci e carote arrosto. O ancora i Cappelletti di patate arrosto, essenza di coniglio arrosto e crudo di coniglio marinato, lime nero ed erba oliva, con la pasta farcita da patate arrosto (cucinate in modo classico: bollite, passate in forno con aglio, rosmarino e salvia - schiacciate e montate con il burro) e il coniglio in due declinazioni: crudo, marinato, tagliato a sashimi sopra ogni cappelletto - e il suo fondo (ossa e carni di recupero vengono messe nella ocoo per ricavarne un’essenza).

«Li abbiamo affiancati alla parte "divertente", dove esploriamo ciò che ci piace - spiega lo chef - i menu sono creati dalla voglia di fare qualcosa di nuovo, ma sempre legati a ricordi stabili. Li cambiamo ogni due mesi, abbiamo tantissima energia creativa e alla fine se cambi ti diverti. Quando li compongo non penso a farli più soft o più spinti, più cervellotici o più ruffiani. Però posso dire che dallo scorso giugno sono i più complessi che abbiamo realizzato da quando sono qui (e dal punto di vista delle materie prime i più onerosi). È la terza volta che cambiamo: ogni giorno vogliamo alzare di più la nostra asticella, migliorare quello che facciamo e la qualità delle nostre idee. Dopo il primo lockdown potevamo tornare con proposte più tradizionali, ma abbiamo deciso di continuare ancor più convinti nelle direzioni che stavamo iniziando a mettere a fuoco».

Cappelletti di patate arrosto, essenza di coniglio arrosto e crudo di coniglio marinato, lime nero ed erba oliva

Cappelletti di patate arrostoessenza di coniglio arrosto e crudo di coniglio marinato, lime nero ed erba oliva

Alcune portate possono apparire particolarmente elaborate, ma se ne percepiscono libertà e senso di responsabilità (non rovinare materie così pregiate e saperle esaltare) anche quando gli equilibri sono imperfetti. Braschi ha tutto il tempo per domare i suoi impeti, incanalare tutta quest’energia, rendere nitida la strada da percorrere. A suo vantaggio gioca l’anagrafica, e la certezza che - per chi come lui vive la cucina con grandi sentimenti - quando c’è emozione ogni cosa ha senso.

I suoi sono presupposti davvero incoraggianti. Ecco i nostri assaggi. 

Benvenuto:

Coniglio, maionese all’acciuga e caviale di lumaca
Distillato di pasta e patate
Caprese: sfera di mozzarella di bufala affumicata e basilico, pomodorino arrostito
Ringo: biscotto di pastafrolla salata ripieno di mousse di pecorino e pere al cognac glassate
Finta ciliegia di fegatini di wagyu e gel allo yuzu

Abbinati con: Champagne A.Bergere, selection 1978

Pho-men

Pho-men

Curry indiano di gamberi: gamberi di Mazara crudi, caviale di lime, curry caldo fatto in casa: con anacardi, paprika, semi di coriandolo e cumino, aglio, zenzero. Il tutto è frullato tutto assieme alle teste dei gamberi. Ne esce una crema consistente, tostata in padella con olio di semi come si fa in india (l'anacardo addensa) quando poi la si stempera con latte di cocco e fatta cuocere a fuoco bassissimo. Ultimi passaggi: si setaccia, ottenendo una crema liscia e dal gusto profondo.

Abbinamento del sommelier Mirko Di Simone: Costacielo 2018 Lunarossa - Giffonio Valle Piana

Gel di anguria, gel di acqua di mare, bottarga e olio al basilico: anguria salata, pomodorino giallo macerato nel sale, limone di Procida, bottarga di muggine (Braschi gioca sul salino-salmastro)

Pho-men: (mix delle parole Pho vietnamita e Ramen giapponese) soba, uovo di quaglia al miso, carpaccio di anatra marinata, brodo di umami di anatra arrosto (con la Ruta, che assomiglia al coriandolo)

Abbinamento: Maramia 2018, Sangiovese rubicone dop

A Priscilla: bottone ripieno di parmigiano liquido e tartufo, fondo di manzo, caviale di the bancha, mousse di patate dolci e carote arrosto

Ragù della nonna (salsiccia, lardo, pepe)

Lum-ici: lumache al lumache alla bourguignonne (lui le lavora con beurre blanc - più acido - fatto con scalogno, burro, e aceto di vino bianco), alici cotte al cannello (elemento che da sapidità che la lumaca non ha), lisca croccante, cipolla in carpione, bagnetto verde, crema d’aglio al latte, spugna al prezzemolo, polvere di lattuga di mare.

Abbinamento: Chablis Vieilles Vignes domaine Servin

Lum-ici

Lum-ici

Gelato al pepe sancho, bergamotto e caviale affumicato

Pane, olio e sale (namelaka al cioccolato bianco e oliocru - olio pregiato che proviene da riva del garda, crostoni di pane abbrustoliti, e scaglie di sale maldon)

Abbinamento: Capitolium moscato di Terracina Santandrea

Coccole finali:

Il contadino: finta arachide di pralinato alle arachidi, terra di cacao salata
Tartufino al cioccolato fondente
Croccante allo yuzu con aringa all’italiana
Senzu

Abbinamento: Yoigokochi yuzu sake

A Priscilla

A Priscilla

1978
Via Zara, 27, Roma
+39.06.6933 5743
chiuso lunedì e martedì


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Andrea D'Aloia

abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare

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