10-05-2020

Ripartiamo dalla terra: l'appello di Slow Food che ciascuno di noi può firmare

Le istituzioni devono sostenere la migliore agricoltura d’Italia e la ristorazione di qualità. Già 4mila adesioni tra cuochi, contadini, allevatori, artigiani e comuni cittadini

«Un’enormità di famiglie e di microaziende che, oltre a generare economia positiva e posti di lavoro, rappresentano l’anima dei nostri territori e la cinghia di trasmissione privilegiata tra cittadini e contadini virtuosi» rischiano di non riaprire dopo il lockdown. Perciò diventa essenziale salvare questo patrimonio gastronomico e culturale: «Se la sinergia tra produttori, ristoratori e cittadini si consoliderà, allora tutti ne avranno benefici. Una filiera gastronomica di prossimità e di qualità costituisce un patrimonio collettivo di un territorio e le sue ricadute positive arrivano a tutti i livelli: chi lavora la terra in maniera virtuosa sarà incentivato a continuare e a migliorare, i ristoratori potranno valorizzare le unicità di un Paese meravigliosamente variegato, i cittadini avranno sempre più accesso a un cibo buono, pulito e al giusto prezzo, i turisti (che prima o poi torneranno), avranno un motivo in più per muoversi, l’ambiente e il paesaggio saranno migliori».

Sono parole di Carlin Petrini, in un lungo articolo su Repubblica nel quale il fondatore di Slow Food presenta l'appello - già sottoscritto da 4mila persone, si aggiungere la propria firma su www.slowfood.it - rivolto al al premier Giuseppe Conte, ai ministri e agli assessori regionali per estendere il credito d’imposta all’acquisto di prodotti agricoli e artigianato alimentare. «Ma questo non basterà - conclude Petrini - se non sarà accompagnato da un grande sforzo sinergico in cui un ruolo determinante sarà giocato dai cittadini, che avranno la responsabilità di sostenere quei ristoratori che lotteranno per essere sostenibili economicamente senza rinunciare a qualità e prossimità».

Carlin Petrini

Carlin Petrini

Secondo recenti dati di Unimpresa, il 30% delle attività commerciali di vendita al dettaglio e somministrazione a giugno non avrà le condizioni economiche per ripartire e non riaprirà. Nella ristorazione, in particolare, non si sa ancora bene cosa accadrà alla riapertura: è un settore terribilmente in crisi. E proprio da alcuni esponenti di questo settore arriva la richiesta forte di maggiore attenzione a tutto il settore agricolo e alimentare, consapevoli che oltre ai ristoratori e al loro personale, sta andando in crisi anche tutto un mondo di produttori virtuosi di piccola scala, inclusi quelli supportati e messi in rete dai progetti di Slow Food (Presìdi, Mercati della Terra, Comunità di produttori, le reti Slow Beans e Slow Mays, e altre). Tutti questi produttori riescono a mantenere un tipo di produzione fatto di cura e rispetto per la terra e per chi la lavora anche grazie al rapporto privilegiato con la migliore cucina del nostro paese, che ai loro prodotti attinge a piene mani. Oggi questi produttori registrano cali che arrivano fino al 60% del proprio fatturato in conseguenza della prolungata chiusura dei ristoranti.

Ecco il testo dell'appello.

Facciamo parte dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi e gestiamo più di 540 locali in tutta Italia: siamo cuochi di osterie e di ristoranti, di food-truck e di rifugi alpini, siamo pizzaioli e insegnanti di scuole alberghiere.

Con questo appello ci facciamo portavoce anche di altri colleghi ristoratori, molti dei quali raccontati nella guida Slow Food Osterie d’Italia, e di migliaia di agricoltori, allevatori, artigiani. Prendiamo la parola a nome di tutti, perché anche se oggi siamo noi i più fragili, sentiamo l’energia e la passione necessarie per ripartire e avvertiamo la forza che deriva dall’essere parte della rete di comunità solidali di Slow Food.

I cuochi dell’Alleanza Slow Food

I cuochi dell’Alleanza Slow Food

Grazie alla nostra cucina abbiamo diffuso conoscenza, bellezza, piacere. Abbiamo raccontato territori e culture locali. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il lavoro quotidiano di contadini, allevatori, casari, viticoltori e artigiani che producono con passione e rispetto per la terra e per i loro animali.

Questi produttori traggono buona parte del loro reddito dalla relazione con ristoratori come noi, che sanno rispettare i loro ritmi, riconoscere il giusto prezzo ai loro prodotti e garantire sviluppo e opportunità economiche a territori spesso difficili.

Ogni giorno, servendo un buon piatto e prendendoci cura dei nostri commensali, abbiamo educato alla qualità, a un’alimentazione sana e alla convivialità, formando cittadini più consapevoli. Molti di noi, nelle settimane scorse, hanno cucinato per i più fragili e bisognosi, e siamo pronti a farlo ancora in futuro, perché crediamo nel valore della solidarietà.

 

Oggi siamo in crisi, e con noi lo sono i nostri produttori, una parte dei quali faticava già prima a reggere la concorrenza dell’agroindustria e le logiche del mercato e della distribuzione. La parte migliore dell’agricoltura di questo Paese dipende infatti fortemente dalla ristorazione di qualità.

Crediamo che l’immagine di questo Paese sia legata alla sopravvivenza di queste aziende e di chi, proponendo i loro prodotti, li rappresenta al meglio. Gravano sulle nostre spalle non solo i destini dei nostri collaboratori, ma anche il futuro di migliaia di piccole aziende agricole che dipendono dai nostri ordinativi.

Abbiamo deciso di scrivere questo appello perché pensiamo che le difficoltà dovute alla pandemia possano dare a questo Paese il coraggio della necessità e dell’urgenza; la forza di trasformare un’emergenza in una grande occasione per il settore dell’agricoltura, dell’accoglienza e della ristorazione italiana.

I veri nemici da combattere nel post pandemia saranno ancora la perdita di biodiversità, l’erosione del territorio, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, l’impoverimento della fertilità nei nostri terreni, la cementificazione, l’abbandono delle aree rurali e dei piccoli borghi, lo spreco alimentare, lo sfruttamento del lavoro, l’indifferenza per chi produce con attenzione alle ragioni e ai tempi della natura e l’individualismo, che fa prevalere l’io sul senso di comunità.

La ristorazione troppe volte ha assecondato un mercato che ha rincorso il prezzo più basso e stroncato l’agricoltura di prossimità, approvvigionandosi di prodotti ottenuti grazie alla chimica, alle monocolture, facendo viaggiare derrate alimentari migliaia di chilometri.
Se vogliamo porre le basi di un futuro diverso dobbiamo cambiare prospettiva.

Le Istituzioni possono fare molto, sviluppando iniziative che sostengano chi genera economie e benessere per tutta la comunità e non solo per la propria impresa. Per chi acquista prodotti di agricoltori, allevatori e artigiani del proprio territorio.

 

Chiediamo quindi di estendere il credito di imposta, già previsto per alcune spese legate all’emergenza Covid-19, agli acquisti di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legato a filiere locali (dove per locale si intende la dimensione regionale), in una misura pari almeno al 20%, da aumentare al 30% nel caso in cui tali aziende pratichino un’agricoltura biologica, biodinamica, o siano localizzate in aree marginali, disagiate e di particolare valore ambientale del nostro Paese.

Un provvedimento come questo rappresenterebbe una grande occasione, economica, sociale e culturale: permetterebbe di innalzare il livello dell’offerta gastronomica italiana, garantendo una maggiore qualità, e al tempo stesso sosterrebbe e rilancerebbe le piccole e medie aziende agricole locali e il turismo rurale, che vive essenzialmente di paesaggi agrari. Infine, aiuterebbe i ristoratori ad affrontare mesi e forse anni difficili.

Per evitare che troppe attività non riaprano, servono anche misure immediate, ovviamente, e per questo ci associamo alle richieste delle associazioni di settore: risorse a fondo perduto per le imprese in base alle perdite di fatturato, moratoria sugli affitti per compensare il periodo di chiusura e il periodo di ripartenza, cancellazione di imposte anche locali come quelle per l’affitto di suolo pubblico fino alla fine del periodo di crisi, sospensione del pagamento delle utenze, prolungamento degli ammortizzatori sociali fino alla fine della pandemia e sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali.

Serve un piano di riapertura con modalità certe per permettere a tutte le imprese di operare in sicurezza. È importante che sia concessa ovunque la possibilità di lavorare per asporto e contare su spazi all’aperto più ampi nel periodo di convivenza con il virus.

Da questo grave momento non possiamo riemergere se non condividiamo una visione: quella di un Paese che sa proteggere e fare tesoro dei suoi saperi, della sua storia, della sua biodiversità agroalimentare, dei suoi paesaggi. Un paese che conosce il valore del cibo, che sa accogliere e condividere con senso di comunità.

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