11-11-2019

Mediterranean Cooking Congress anno sesto

Il Regno delle Due Sicilie di nuovo unito nell'evento di Pietro D’Agostino tra Taormina e l'Etna. La cronaca della tre giorni

La compagine di cuochi che ha animato la sesta edi

La compagine di cuochi che ha animato la sesta edizione del Mediterranean Cooking Congress e la sesta tappa dell’In The Kitchen Tour 2019 di Charming Italian Chef (foto Marcello Giugno)

Le due Sicilie - baricentro geografico e culturale del Mediterraneo - sono tornate per 3 giorni insieme nel segno di Pietro D’Agostino del ristorante La Capinera di Taormina. È stato grazie a lui - punto di riferimento attorno al quale girano numerose realtà associative nazionali e internazionali, che in virtù della sua infaticabile energia lo hanno individuato come loro delegato sull’Isola - se in soli 3 giorni si è riunita tra Taormina e l’Etna un’intera - e ben armata - milizia di cuochi e produttori, per un duplice evento che ha finito per intrecciarsi e - com’è inevitabile proprio nel solco di quell’evocazione storica - contaminarsi: la sesta edizione del Mediterranean Cooking Congress e la sesta tappa dell’In The Kitchen Tour 2019 di Charming Italian Chef, in coincidenza con l’ormai tradizionale evento Etna Chic.

A tenerli insieme, non solo il polo magnetico e la disinvolta direzione d’orchestra di D’Agostino, ma soprattuto ciò che a lui è da sempre stato più caro: il Mediterraneo come ecosistema in cui affondano radici di memoria gastronomica e di conseguenza, oggi, forti significati simbolici legati a un rapporto lungimirante tra l’uomo e la natura.

In un anno in cui il dibattito su questo tema è stato particolarmente intenso anche in Sicilia, con più di un’occasione che ha preteso di tenerlo al centro (poco più di un mese fa, il ‘nummari organizzato da Pino Cuttaia), tanto più attuale si rivela l’intuizione originaria del MedCooking congress, nato nel 2014 proprio con la vocazione di ragionare sulla tutela del mare e della cucina sostenibile e per la prima volta sbarcato su queste coste per trasferirla in un confronto serrato, fianco a fianco, tra teoria e pratica, tra faccia a faccia e mani in pasta. 

Pietro D’Agostino (La Capinera di Taormina) e Davide Merlino (Lumaca Madonita)

Pietro D’Agostino (La Capinera di Taormina) e Davide Merlino (Lumaca Madonita)

Il risotto di Salvatore Vicari

Il risotto di Salvatore Vicari

Gamberi con salsa d'uovo al limone di Paolo Barrale

Gamberi con salsa d'uovo al limone di Paolo Barrale

Una modalità perfettamente affine all’istinto ecumenico di Pietro D’Agostino, che non ha perso occasione di ribadire come a suo avviso sia «solamente grazie all’impegno, alla condivisione di un pensiero unanime, all’amicizia, che si può dare concretezza alle idee»: «Il confronto e il dialogo con colleghi, produttori, amici è divenuto un momento di condivisione e divulgazione importante: abbiamo dato un concreto esempio di come il concetto di sostenibilità ambientale possa trasferirsi in una realtà concreta nel mondo della cucina contemporanea. Il primo essenziale passo verso una mentalità sostenibile è proprio il confronto intelligente fra tutti gli attori di una filiera che rende grande l’emozione di trovarsi a tavola, tutti i giorni».

Così come a un moderno D’Artagnan capace di riunire, al solo alzar la spada, i suoi moschettieri da tutto il Mediterraneo, allo chef de La Capinera - per l’occasione fianco dell’organizzazione di Luisa Del Sorbo e di By Tourist - è bastato schioccare le dita per far arrivare a Taormina i colleghi delle Due Sicilie di cui si parlava, per costruire - al centro del congresso - una fluida, ideale sfida tra cuochi siciliani e campani attraverso una sfilza di cooking show dedicati al pesce povero.

Sfida che si è trasformata anche in una carrellata di interessanti intuizioni sulle inevitabili, complementari vicinanze tra le grandi tradizioni della cucina di mare delle città che si affacciano sulla costa delle due regioni, dalle essenziali, quasi minimali Alici dello chef Marco Rispo de Le Trabe di Paestum - con una riduzione di uva nera, sakè e pane croccante al miso - ai golosi, quasi domestici, Ziti spezzati alla genovese di polpo di Domenico De Gregorio de Lo Stuzzichino di Sant’Agata sui Due Golfi, prima di arrivare alla raffinato Rosso corallo di D’Agostino, «un piatto di transizione - nelle intenzioni dello chef - tra l’estate e l’autunno» tanto per gli ingredienti quanto per i colori che sono tra le cifre più riconoscibili della sua cucina, con gli ultimi peperoni e le ultime melanzane (queste ultime impreziosite da una geniale gelatina di Nachè, fermentato dal miele di ape nera sicula di Mieli Meli), le prime zucche e le prime barbabietole rosse, tutto attorno ad un filetto di palamita completato dalle perle di caviale di Lumaca Madonita.

Un concentrato di natura mediterranea dopo il quale era necessaria una firma dolce, che è arrivata con Le crostate di Giuseppe Amato: il capo pasticciere de La Pergola di Roma, originario proprio di Gaggi, in provincia di Messina, non ha fatto solo una delle sue consuete lezioni di alta pasticceria nel segno dell’identità, ma soprattutto una lezione sul ruolo del cuoco nel segno della responsabilità.

«Tocca a noi per primi insegnarlo ai nostri ragazzi, insegnarlo nelle scuole, insegnare innanzitutto il metodo: la natura stessa ce lo offre, con le sue regole e i suoi ritmi, a noi non resta che seguirlo», aveva già detto Amato nel convegno sul mare dalla tutela alla produttività, con al tavolo ristoratori esperti come Pinuccio La Rosa di Locanda Don Serafino e osservatori altrettanto esperti come Fausto Arrighi e Francesco Aiello.

Le Alici di Marco Rispo

Le Alici di Marco Rispo

La palamita di D'Agostino

La palamita di D'Agostino

Villa Neri

Villa Neri

Ed è stato anche per proseguire su questa scia - quella di un metodo in cui è il prodotto che detta le regole al cuoco e non il contrario - che subito dopo la jam session di Taormina ci si è trasferiti sull’Etna - tra le vigne elegantissime e la cantina densa di pensiero e personalità di Palmento Costanzo - sotto l’egida dell’associazione Chic presieduta dallo chef Paolo Barrale e qui, stavolta, giocando davvero sull’energia dell’improvvisazione: il pretesto di un matching business to business tra fornitori e cuochi, ha fatto sì che i prodotti di oltre 30 selezionate aziende finissero sul tavolo dei cuochi Chic, sfidandoli a comporre i loro piatti in estemporanea.

Così Salvatore Vicari del Vicari di Noto e Peppe Bonsignore de L’Oste e il Sacrestano di Licata si sono trovati a duettare in un risotto ai funghi col Riso buono, l’ormai famosa Tuma persa e un’invisibile traccia di Etneum, il neonato Gin della Montagna, scelto come ingrediente segreto anche per l’assolo con cui Paolo Barrale ha marinato i suoi gamberi con salsa d'uovo al limone, portulaca fermentata, finochietto e sale di capperi e via di questo passo fino ad arrivare insieme alla ‘Cena a 20 mani’ di Etna Chic, certamente la più interessante opportunità del meeting in senso strettamente gastronomico.

Dalle sale di Villa Neri - di sicuro oggi una delle più eleganti tappe dell’ospitalità di lusso in Sicilia -, dove ogni giorno opera il giovane Elia Russo, sono venuti fuori i piatti con la maggiore profondità di ricerca e di gusto, grazie anche all’esperienza e alla mano felice dei dieci cuochi che li hanno realizzati: i Fusilli con cozze, gamberi e cavolfiore di Giuseppe Geraci del Modì di Torregrotta, il Risotto broccolo bottarga e bagnacauda di Peppe Bonsignore, i Sedani rapa di Dario Di Liberto, lo Sgombro d’autunno di Salvatore Vicari, fino all’irresistibile Crocchetta di Baccalà di Giuseppe Raciti, solo per citarne alcuni e chiudere - con la loro autonoma e responsabile scelta dei pesci poveri - il giusto cerchio sul futuro, della cucina e del mare.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Concetta Bonini

classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo

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