22-07-2019

Signore e signori, Vito Pastore

È il nome nuovo della ristorazione abruzzese. Convince la sua proposta senza fronzoli a L’Antico Torchio di Loreto Aprutino

Vito Pastore al pass del suo L’Antico Torchio,

Vito Pastore al pass del suo L’Antico Torchio, ristorante gastronomico a Loreto Aprutino (Pescara), all'interno del castello Chiola

I mattoni in cotto dell’imponente castello dominano lo skyline del punto più alto della collina, la cui conformazione è caratterizzata dall’alternanza irregolare tra morbide pendenze e dislivelli più ripidi. Terra pacifica, questa. Generosamente baciata dal sole, famosa soprattutto per dare oli eccezionali e vini che stanno scrivendo da inizio secolo pagine importantissime dell’enologia internazionale. Loreto Aprutino è un piccolo gioiello dell’area vestina d’Abruzzo, hinterland a qualche decina di minuti d’auto da Pescara, borgo autentico e fascinoso in cui il tempo si è fermato. Poco più di settemila anime, sette chiese, quattro porte. Il castello è il Chiola, prime documentazioni rinvenute antecedenti l’anno mille e storia analoga a tanti luoghi del genere. Nel corso del millennio sono passati da avamposto militare e poi di mano in mano a nobili e famiglie molto agiate. Il nome viene dall’ultima proprietà che l’ha occupato fino a metà degli anni Novanta e restaurato, dandogli l’aspetto attuale.

Il castello Chiola

Il castello Chiola

All’interno del maniero medioevale ruggiscono i fornelli de L’Antico Torchio, ristorante fine dining capitanato dal 2017 dallo chef Vito Pastore, pugliese classe 1983 di Acquaviva delle Fonti (Bari). Autodidatta, gavetta tra Puglia e Abruzzo, poi l’esordio in pasticceria sotto la guida di Emanuele Saracino e il successivo approdo ai fornelli e a una cucina personalissima di rigore e studio forsennato, soprattutto d‘idee e tecnica, d’impeto e di tormento. Il “nome nuovo” della cucina in Abruzzo è il suo. Una trentina i coperti della sala dominata dal grande torchio di legno. L’idea di ristorazione è diretta, mai falsamente piaciona o sfacciatamente ruffiana – lui non è il tipo - ma pragmatica, essenziale, golosa. Forse di “liberazione” e allontanamento dal tumulto; sicuramente sorprendente per pulizia e sottrazione. Al netto di ogni orpello che non risulti utile al piatto e funzionale al suo sapore: il mantra è che «tutto deve avere un senso».

La sala

La sala

Due i menu degustazione che parlano di memoria e territorio: Avanguardia (percorso più personale, 8 portate a 65 euro) e Tradizione (5 a 50 euro), da poco rinnovati. Entrambi percorrono contromano la via della proposta “pop” ma senza perdere immediatezza: ogni elemento è un lungo riff suonato al massimo del volume. Denominatori comuni sono la predilezione della tecnica e la selezione di materie prime lavorate con perizia e intelligenza, muovendo dai sapori pugliesi familiari allo chef a quelli più autentici d’Abruzzo, terra in cui si è trovato quasi per caso (con una strizzata d’occhio facilmente codificabile che guarda a Oriente più che ad altri luoghi: è il caso del Daikon marinato presentato tra gli amuse bouche: il guizzo lo si individua anche dagli “ingressi”).

Lo chef

Lo chef

Qui la mano c’è, le idee anche. E la direzione è sempre più nitida: si viaggia senza clamori verso l’essenziale, ma senza rinunciare alle complessità. Sensazione che si palesa, ad esempio, quando arriva in tavola il Negativo di mare (baccalà in doppia consistenza, peperone, nero di seppia e malandra di polpo; portata che stupisce per il suo sapore “primitivo” di mare dato proprio da quest’ultimo ingrediente), o quando lo chef doma i gusti spigolosi del Rognone di vitello, spugnole e cipolla rossa scorzanera. Oppure con il super convincente Gnocchi, lumache aprutine, stracchino di capra, erbe e fiori... Sono tre piatti diventati rapidamente signature dish.

L’impegno di tutta la squadra è al massimo, si vede: nell’economia del degustazione alcuni piatti, come quelli appena citati, sono di quelli che si ricordano a lungo dopo l’assaggio. Non è forse questa una delle grandezze di un cuoco? E se questo è il preludio, la curiosità sulle prossime evoluzioni è tanta, perché Vito Pastore appartiene a quella schiera di cuochi che raramente si pacificano e che dormono sonni tranquilli. Ma scommetteremmo che del suo lavoro si parlerà a lungo.

Di seguito il racconto di alcuni dei piatti assaggiati nelle ultime visite.

Entrèe - In questo caso un vero e proprio “riscaldamento delle papille gustative”, un rapido viaggio tra Puglia, Abruzzo e Giappone. Dall’alto in basso della foto: Carta tarallo, alghe wakamè, aceto di sushi, sesamo, peperoncino; Wafer di stracotto di manzo; Carta tarallo con stracotto di agnello, carciofi crudi e pecorino grattato e in salsa; Daikon marinato (ravanello orientale, ha la forma di una carota di 20/30 cm, il più comune è coltivato nell’isola nipponica), baccalà marinato, verdure marinate in aceto di champagne e lamponi fermentati

EntrèeIn questo caso un vero e proprio “riscaldamento delle papille gustative”, un rapido viaggio tra Puglia, Abruzzo e Giappone. Dall’alto in basso della foto: Carta tarallo, alghe wakamè, aceto di sushi, sesamo, peperoncino; Wafer di stracotto di manzo; Carta tarallo con stracotto di agnello, carciofi crudi e pecorino grattato e in salsa; Daikon marinato (ravanello orientale, ha la forma di una carota di 20/30 cm, il più comune è coltivato nell’isola nipponica), baccalà marinato, verdure marinate in aceto di champagne e lamponi fermentati

Il Daikon marinato

Il Daikon marinato

Baccalà, peperone, cipolla, negativo di seppia - Apre il menu, ed è il primo “schiaffo” che dalla cucina arriva a tavola. Il baccalà è in due cotture: marinato (tra le altre cose in lime e salsa di senape), mantecato e montato con patate del Fucino. A spingere sull’acceleratore del sapore, bilanciando tutta la sapidità, concorrono una composta di cipolla bianca, un ketchup di peperoni a cornetto cotti alla brace e dei crostini di pane raffermo. Il gel, a contrasto aromatico e che nasconde alla vista gli ingredienti, è a base di nero di seppia e malandra di polpo, ossia il fegato. Utilizzato come piatto povero dei pescatori (che ci cucinavano il “sugo senza polpo”, perché era la parte che rimaneva loro dopo la pulizia del cefalopode), la malandra è l’ingrediente molto aromatico che dona a questo piatto un sapore “primitivo” di mare

Baccalà, peperone, cipolla, negativo di seppiaApre il menu, ed è il primo “schiaffo” che dalla cucina arriva a tavola. Il baccalà è in due cotture: marinato (tra le altre cose in lime e salsa di senape), mantecato e montato con patate del Fucino. A spingere sull’acceleratore del sapore, bilanciando tutta la sapidità, concorrono una composta di cipolla bianca, un ketchup di peperoni a cornetto cotti alla brace e dei crostini di pane raffermo. Il gel, a contrasto aromatico e che nasconde alla vista gli ingredienti, è a base di nero di seppia e malandra di polpo, ossia il fegato. Utilizzato come piatto povero dei pescatori (che ci cucinavano il “sugo senza polpo”, perché era la parte che rimaneva loro dopo la pulizia del cefalopode), la malandra è l’ingrediente molto aromatico che dona a questo piatto un sapore “primitivo” di mare

Rognone di vitello, spugnole, cipolla rossa scorzanera - Il rognone è di vitellino da latte cucinato a bassa temperatura e successivamente lavato in aceto, cotto a fiamma alta (o brace) e servito rosa, abbinato con cipolla fiammeggiata, carota morbida, fungo spugnola. A dare freschezza al fondo di vino e midollo c’è una salsa al prezzemolo e dragoncello. Ogni sapore, anche il più spigoloso, è tenuto sapientemente sotto controllo e bilanciato

Rognone di vitello, spugnole, cipolla rossa scorzanera - Il rognone è di vitellino da latte cucinato a bassa temperatura e successivamente lavato in aceto, cotto a fiamma alta (o brace) e servito rosa, abbinato con cipolla fiammeggiata, carota morbida, fungo spugnola. A dare freschezza al fondo di vino e midollo c’è una salsa al prezzemolo e dragoncello. Ogni sapore, anche il più spigoloso, è tenuto sapientemente sotto controllo e bilanciato

Pecora affumicata, latte d’aglio dolce, pinoli, verza, anice - Una portata che è bene inserire tra le prime portate del degustazione, perché alleggerisce e ripulisce il palato. La pecora è in tartare e arriva da Scanno, guarnita da una spuma d’aglio dolce di Sulmona. I pinoli vengono marinati in salvia e cavolo nero essiccato. Piatto più semplice, per moderare il percorso

Pecora affumicata, latte d’aglio dolce, pinoli, verza, anice - Una portata che è bene inserire tra le prime portate del degustazione, perché alleggerisce e ripulisce il palato. La pecora è in tartare e arriva da Scanno, guarnita da una spuma d’aglio dolce di Sulmona. I pinoli vengono marinati in salvia e cavolo nero essiccato. Piatto più semplice, per moderare il percorso

Pappardelle, animelle di agnello, asparagi e vino cotto - Trenta tuorli per chilogrammo di farina per mantenere la pappardella (lavorata come si faceva nel “metodo antico” emiliano), croccante sotto i denti: un morso corposo, cercato fortemente. Gli asparagi sono lasciati a crudo, il ragù di animelle d’agnello cotte a lungo è lavorato con il marsala. Nel fondo, oltre il marsala, troviamo del vino cotto

Pappardelle, animelle di agnello, asparagi e vino cotto - Trenta tuorli per chilogrammo di farina per mantenere la pappardella (lavorata come si faceva nel “metodo antico” emiliano), croccante sotto i denti: un morso corposo, cercato fortemente. Gli asparagi sono lasciati a crudo, il ragù di animelle d’agnello cotte a lungo è lavorato con il marsala. Nel fondo, oltre il marsala, troviamo del vino cotto

Gnocchi, lumache aprutine, stracchino di capra, erbe e fiori - «Non uso germogli - spiega Vito Pastore - Soltanto qualche aromatica e solo se funzionale al piatto. Salse, fondi e brodi non li uso quasi più, esclusiva di piatti che seguono la mia linea di pensiero. Per lo più tendo alla pulizia, all’essenzialità, a calibrare i sapori». In questo caso i fiori ci sono: l’idea è ricreare il “ciclo di continuità” delle lumache di terra, allevate a Loreto e Città Sant’Angelo, che di fiori e verdure si nutrono. Sono servite con uno gnocchetto di mais e patate (senza parmigiano né uova), su una salsa di caprino leggera che ridà grassezza e richiama le escargot a base burro francesi. Le erbe sono cotte (in crema) e crude, una ventina in tutto. Ne citiamo solo alcune: borragine, tortella di campo, marasciuolo selvatico, dragoncello, piantagine, coriandolo, erba cedrina, finocchietto e liquirizia selvatica. Piccolo consiglio: avvicinate il naso al piatto prima del boccone, per far arrivare un immediato e freschissimo profumo di verbena odorosa (elemento dal profumo molto pronunciato) e pino aromatico. Altro signature dish molto convincente

Gnocchi, lumache aprutine, stracchino di capra, erbe e fiori - «Non uso germogli - spiega Vito Pastore - Soltanto qualche aromatica e solo se funzionale al piatto. Salse, fondi e brodi non li uso quasi più, esclusiva di piatti che seguono la mia linea di pensiero. Per lo più tendo alla pulizia, all’essenzialità, a calibrare i sapori». In questo caso i fiori ci sono: l’idea è ricreare il “ciclo di continuità” delle lumache di terra, allevate a Loreto e Città Sant’Angelo, che di fiori e verdure si nutrono. Sono servite con uno gnocchetto di mais e patate (senza parmigiano né uova), su una salsa di caprino leggera che ridà grassezza e richiama le escargot a base burro francesi. Le erbe sono cotte (in crema) e crude, una ventina in tutto. Ne citiamo solo alcune: borragine, tortella di campo, marasciuolo selvatico, dragoncello, piantagine, coriandolo, erba cedrina, finocchietto e liquirizia selvatica. Piccolo consiglio: avvicinate il naso al piatto prima del boccone, per far arrivare un immediato e freschissimo profumo di verbena odorosa (elemento dal profumo molto pronunciato) e pino aromatico. Altro signature dish molto convincente

Agnello “cacio e ovo”, insalata aromatica forte - Il taglio scamone d’agnello, cotto in varie tecniche (ad esempio nel suo grasso per assorbimento), fa un passaggio sulla brace e glassato su una spuma di uova e limone. La lattuga, accostamento in Abruzzo molto frequente con la carne, è moderata nel burro, passata in roner per ammorbidirne le fibre a una temperatura controllata e poi brasata. Infine, è condita con il fondo di arrosto d’agnello e qualche goccia di yuzu: diventa in sostanza un lattughino molto aromatico che va a temprare i sapori decisi e sapidi dell’agnello, del cacio e dell’uovo

Agnello “cacio e ovo”, insalata aromatica forte - Il taglio scamone d’agnello, cotto in varie tecniche (ad esempio nel suo grasso per assorbimento), fa un passaggio sulla brace e glassato su una spuma di uova e limone. La lattuga, accostamento in Abruzzo molto frequente con la carne, è moderata nel burro, passata in roner per ammorbidirne le fibre a una temperatura controllata e poi brasata. Infine, è condita con il fondo di arrosto d’agnello e qualche goccia di yuzu: diventa in sostanza un lattughino molto aromatico che va a temprare i sapori decisi e sapidi dell’agnello, del cacio e dell’uovo

Coda di bue - «È un taglio che ho sempre amato, da quando ne ho ricordo nei piatti di mia nonna» racconta lo chef. È una terrina “estiva” giocata sulle stratificazioni: la carne viene stracotta sottovuoto, spolpata, condita con aromi ed erbe. La parte collaginosa del grasso viene recuperata, filtrata e ridotta in una sorta di gelatina naturale resa leggermente alcolica da una parte di vino Passerina. Sopra, una maionese ottenuta dal bastardone (tipologia di peperone dolce essiccato prodotto ad Altino, paesino di tremila anime nel Chietino) e tabasco (ecco quindi note affumicate e piccanti). Terzo strato: viene  aggiunta della patata fermentata tre giorni in una soluzione salina, che così lavorata perde amido e sprigiona contestualmente mineralità accentuata. Ultimo passaggio: il tubero viene spennellato con una resina al limone trasparente e del mosto cotto

Coda di bue - «È un taglio che ho sempre amato, da quando ne ho ricordo nei piatti di mia nonna» racconta lo chef. È una terrina “estiva” giocata sulle stratificazioni: la carne viene stracotta sottovuoto, spolpata, condita con aromi ed erbe. La parte collaginosa del grasso viene recuperata, filtrata e ridotta in una sorta di gelatina naturale resa leggermente alcolica da una parte di vino Passerina. Sopra, una maionese ottenuta dal bastardone (tipologia di peperone dolce essiccato prodotto ad Altino, paesino di tremila anime nel Chietino) e tabasco (ecco quindi note affumicate e piccanti). Terzo strato: viene  aggiunta della patata fermentata tre giorni in una soluzione salina, che così lavorata perde amido e sprigiona contestualmente mineralità accentuata. Ultimo passaggio: il tubero viene spennellato con una resina al limone trasparente e del mosto cotto

Cioccolato bianco di capra, quinoa cotta nel latte di cocco, asperula e sangria - Si gioca sulle consistenze anche nel goloso finale: latte e spuma di capra, quinoa cotta nel cocco marinato e latte di cocco, gocce di sangria

Cioccolato bianco di capra, quinoa cotta nel latte di cocco, asperula e sangria - Si gioca sulle consistenze anche nel goloso finale: latte e spuma di capra, quinoa cotta nel cocco marinato e latte di cocco, gocce di sangria

L'Antico Torchio al castello Chiola
via degli Aquino 12
Loreto Aprutino (Pescara)
tel. +39 085 8290690
http://www.castellochiola.com/ristorante
chiuso il mercoledì; aperto a pranzo solo il sabato e la domenica
Menu degustazione a 50 e 65 euro


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Andrea D'Aloia

abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare

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