22-01-2019

Arroyito, provincia di Rimini. La doppia anima di Abocar Due Cucine

Una coppia italo-argentina, stili che si fondono: sull'Adriatico cresce un locale che spacca. Loro lezione a Identità Milano

Camilla Corbelli e Mariano Guardianelli, lei rim

Camilla Corbelli Mariano Guardianelli, lei riminese doc, lui argentino: sono le due anime dell'Abocar Due Cucine a Rimini. Guardianelli sarà tra i protagonisti di Identità Milano, nuova sezione Contaminazioni, parlerà dal palco sabato 23 marzo alle 12,15 in sala Blu 2

La ciudad de Arroyito è un piccolo agglomerato urbano nel centro nord dell’Argentina, nel distretto di Córdoba. Un rettangolo piuttosto definito di case e di costruzioni basse, piazzato nel mezzo di altri rettangoli ben distinguibili anche dal satellite: praterie e steppe, e campi a perdita d’occhio dedicati alle colture - prevalentemente leguminose - e agli allevamenti estensivi, marchi di fabbrica della zona e per molti anni alla base della sua economia, prima dell’arrivo dell’industria. Terra rurale di pamperos (i coltivatori della pampa) e di gauchos. Da qui è partito Mariano Guardianelli, chef patron del riminese Abocar Due Cucine, ristorante che gestisce da 5 anni assieme alla compagna Camilla Corbelli.

Mariano Guardianelli

Mariano Guardianelli

Classe 1983 lui, ha iniziato a spadellare attorno ai 20 nella scuola alberghiera di Arroyito: quel posto gli stava stretto e quindi subito via, a Miami, per capire cosa significa stare in una cucina professionale. Da quell’esperienza però non è arrivata nessuna folgorazione e allora eccolo di nuovo su un aereo, destinazione Spagna. Prima Valencia, poi Girona dai Roca, al Celler: «Lì ho veramente capito i meccanismi di un ristorante stellato e sono rimasto folgorato dal ritmo: un meccanismo perfetto, anche se era la pasticceria ad attrarmi come una calamita… Il lavoro di Jordi Roca era magico». La penisola iberica ha portato consapevolezza e pure l’incontro con Camilla, presto compagna di vita e “partner in crime”. Lei è italianissima, riminese doc e figlia di storici ristoratori in città. Anche lei era cuoca, al Cà Sento, in quel momento uno dei ristoranti valenciani di spicco.

Camilla Corbelli

Camilla Corbelli

Insieme hanno deciso di rientrare nel Belpaese, ma senza negarsi altre esperienze: lei è andata a formarsi da Uliassi, lui a La Buca di Cesenatico (una delle insegne della famiglia Bartolini, ne abbiamo scritto qui: Quel gran pescato del mare Adriatico, a La Buca di Cesenatico), dove ha conosciuto ogni tipo di pesce dei mari italiani, e al Piazza Duomo di Alba: »Che lavoratore Enrico Crippa! Una roba che dicevo tra me e me: “Non è possibile”. È pazzesco pensare a come si muove in cucina, l’organizzazione, la pulizia, sempre il primo ad arrivare, l’ultimo ad andar via, nel frattempo prendeva la bicicletta e si faceva 70 km, poi andava all’orto. Un genio e un professionista assoluto». Non è mancato a entrambi un passaggio in Francia, ad Arles, poi a Parigi (da David Toutain): i tempi erano maturi per iniziare la loro avventura personale «anche se quando, invece di rilevare l’insegna di famiglia, ho deciso di aprire il mio ristorante i miei non l’hanno presa proprio benissimo» confessa Camilla, che dalla cucina è passata a dirigere con grazia e premura la sala e la cantina.

Abocar Due Cucine ha aperto nel centro storico di Rimini nel 2013, nel borgo di San Giuliano. Un locale curato e accogliente, con una trentina abbondante di coperti che con la bella stagione raddoppiano grazie al graziosissimo giardinetto esterno. «Non siamo partiti con questa idea da subito, ma l’abbiamo costruita con il tempo. Abbiamo iniziato da 8-10 piatti che cambiavano in continuazione: il primo anno abbiamo sperimentato tutto quello che c’era da sperimentare. È stato un delirio bellissimo».

La coppia dell'Abocar Due Cucine

La coppia dell'Abocar Due Cucine

Avvicinare, questo è tradurre alla lettera “abocar”: avvicinare una clientela curiosa a una cucina che non ti aspetti, avvicinare due terre, l’Italia e l’Argentina, in un mix di esperienze e contaminazione tra luoghi e ingredienti: non c’è confine nei piatti di Mariano. La cifra stilistica è immediata, di tecnica pura e di apertura. Di radici, memoria e conoscenza.

Ogni ingrediente è selezionato con cura non ordinaria, coerente negli accostamenti tradizionali o non convenzionali, più o meno azzardati. Una mano sicura, strada ben a fuoco. «Vanno bene le influenze, le tecniche puoi individuarle o no, ma qualunque idea vada a finire nei miei piatti la devi gustare e avere un senso. Cerco soltanto di fare una cucina buona, eseguita alla perfezione, il cliente deve alzarsi dalla mia tavola felice di aver mangiato con piacere, di aver vissuto un racconto e un viaggio. E deve aver voglia di tornare». Una visione che è stata compresa e apprezzata, culminata lo scorso novembre con la prima stella: «Non siamo un locale chiacchierato: abbiamo sempre mantenuto un profilo molto basso, pian piano abbiamo creato relazioni e legami, poi sono arrivati i risultati, sempre lavorando sodo. La nostra vocazione a esplorare ha suscitato interesse, siamo contentissimi perché il messaggio che volevamo comunicare è arrivato».

Alcuni piatti sono già diventati dei must: Seppia, brie e carote (l’unico rimasto in carta dal 2013 – è una tagliatella di seppia su una zuppetta di brie e purè di carote: richiestissimo)

Alcuni piatti sono già diventati dei must: Seppia, brie e carote (l’unico rimasto in carta dal 2013 – è una tagliatella di seppia su una zuppetta di brie e purè di carote: richiestissimo)

Altro piatto ormai classico, il Tortellino Abocar di stracotto di manzo, mortadella, parmigiano e salsa al limone

Altro piatto ormai classico, il Tortellino Abocar di stracotto di manzo, mortadella, parmigiano e salsa al limone

Tra le 4 proposte (ci sono piccoli menu di carne o di pesce da 5/6 portate, o un Grande Abocar da 8) abbiamo optato per il menu Manos Libres dove è lo chef a decidere, perché «è quello che ci lascia esprimere e ci fa raccontare meglio qualcosa di noi». Le sorprese non sono mancate. Eccole, partendo dagli appetizer.

Tapioca & Sottoya: la sottoya (a destra nella foto) è una maionese di salsa di soia e scalogno (la gente ne è impazzita, tanto che è iniziata una piccola produzione per la vendita di vasetti al pubblico), da intingere con le chips sottili e croccanti di tapioca, si intravedono in alto. Poi Lemon pie (a sinistra nella foto): tartelletta ripiena di patata dolce, cioccolato bianco e meringa al limone, con polvere di limone tostato sopra. È da mangiare in un sol boccone, per far esplodere la fresca acidità agrumata.

Tapioca & Sottoya: la sottoya (a destra nella foto) è una maionese di salsa di soia e scalogno (la gente ne è impazzita, tanto che è iniziata una piccola produzione per la vendita di vasetti al pubblico), da intingere con le chips sottili e croccanti di tapioca, si intravedono in alto. Poi Lemon pie (a sinistra nella foto): tartelletta ripiena di patata dolce, cioccolato bianco e meringa al limone, con polvere di limone tostato sopra. È da mangiare in un sol boccone, per far esplodere la fresca acidità agrumata.

Mate e caprino: il mate è un’erba nativa del Sudamerica solitamente utilizzata per infusi o come tè. Dalla lavorazione della foglia triturata Mariano ottiene dei dischetti croccanti, farciti con caprino e guarniti di un gel di pompelmo rosa

Mate e caprino: il mate è un’erba nativa del Sudamerica solitamente utilizzata per infusi o come tè. Dalla lavorazione della foglia triturata Mariano ottiene dei dischetti croccanti, farciti con caprino e guarniti di un gel di pompelmo rosa

Zuppa: vellutata di zucca, semi di zucca, frutto della passione e peperoncino giallo leggermente fermentato. Cambia spesso, infatti viene presentata come “zuppa del giorno”

Zuppa: vellutata di zucca, semi di zucca, frutto della passione e peperoncino giallo leggermente fermentato. Cambia spesso, infatti viene presentata come “zuppa del giorno”

Poi i piatti Manos Libres.

Cavolfiore tartufo: «Abbiamo fatto almeno dieci prove sulla cottura: avvolgiamo il cavolfiore in un impasto di acqua, farina e sale. Lo passiamo in forno a 200 gradi un’ora e mezza prima di andar via la sera lasciandolo 3-4 giorni a maturare, così da fargli prendere un profumo di sottobosco e terra. Da lì è stato naturale l’accostamento con il tartufo nero. La salsa è una riduzione di cavolfiore fatta in una pentola coreana a pressione (la Ocoo) che permette al vegetale di cuocere a temperatura più bassa, facendolo maturare: risultato della cottura è un succo molto scuro di cavolfiore, che viene ulteriormente ridotto e filtrato ottenendo una crema densa e di saporita intensità. Ah, c’è un’emulsione di lardo (sciolto ed emulsionato con latte di soia come fosse una maionese): avvolgente! Un piatto tondo che nella stagione fredda trova la sua collocazione ottimale

Cavolfiore tartufo: «Abbiamo fatto almeno dieci prove sulla cottura: avvolgiamo il cavolfiore in un impasto di acqua, farina e sale. Lo passiamo in forno a 200 gradi un’ora e mezza prima di andar via la sera lasciandolo 3-4 giorni a maturare, così da fargli prendere un profumo di sottobosco e terra. Da lì è stato naturale l’accostamento con il tartufo nero. La salsa è una riduzione di cavolfiore fatta in una pentola coreana a pressione (la Ocoo) che permette al vegetale di cuocere a temperatura più bassa, facendolo maturare: risultato della cottura è un succo molto scuro di cavolfiore, che viene ulteriormente ridotto e filtrato ottenendo una crema densa e di saporita intensità. Ah, c’è un’emulsione di lardo (sciolto ed emulsionato con latte di soia come fosse una maionese): avvolgente! Un piatto tondo che nella stagione fredda trova la sua collocazione ottimale

Animelle e rapa: «L’animella è un ingrediente che ho sempre avuto in testa, la lavoravo molto quando ero in Francia (con “squintalate” di burro): un giorno ho deciso di inserirle in menu (ci ho messo un po’ a scegliere il fornitore da cui acquistarle) provandone diverse». Sono cotte alla griglia e adagiate su una salsa di mandorle (metà armelline, metà mandorle dolci). Per dare ulteriore spinta acida la chiusura con la rapa bianca marinata e una riduzione di melograno e fiori di karkadè. Altro piatto molto convincente

Animelle e rapa: «L’animella è un ingrediente che ho sempre avuto in testa, la lavoravo molto quando ero in Francia (con “squintalate” di burro): un giorno ho deciso di inserirle in menu (ci ho messo un po’ a scegliere il fornitore da cui acquistarle) provandone diverse». Sono cotte alla griglia e adagiate su una salsa di mandorle (metà armelline, metà mandorle dolci). Per dare ulteriore spinta acida la chiusura con la rapa bianca marinata e una riduzione di melograno e fiori di karkadè. Altro piatto molto convincente

Tortellini: ripieni di garusoli (lumachine di mare, a Rimini sono chiamate anche mulici, o boboli), aglio, finocchietto e peperoncino jalapeño (per la spinta piccante) mantecati con un burro acido alle alghe. Tocco finale il brodino di scarti: fegati di seppie essiccati e infusi, conditi con un filo di colatura di alici. Lo annusi e senti il mare della riviera romagnola. Lo assaggi ed è una bomba di sapore e gusto

Tortellini: ripieni di garusoli (lumachine di mare, a Rimini sono chiamate anche mulici, o boboli), aglio, finocchietto e peperoncino jalapeño (per la spinta piccante) mantecati con un burro acido alle alghe. Tocco finale il brodino di scarti: fegati di seppie essiccati e infusi, conditi con un filo di colatura di alici. Lo annusi e senti il mare della riviera romagnola. Lo assaggi ed è una bomba di sapore e gusto

Aletta di rombo: «Ci sono parti meno nobili del pesce in cui trovi tutto un concentrato di sapore: le alette, la testa, le guance». Da mangiare con le mani, l’aletta è cotta alla brace come uno spiedino (per dare mielosità alla carne e alla parte collaginosa) e spennellata con il chimichurri («Una cottura che mi fa pensare ad un asado, per il concetto di cottura della carne alla griglia e alla salsa: così torno un po’ a casa»)

Aletta di rombo: «Ci sono parti meno nobili del pesce in cui trovi tutto un concentrato di sapore: le alette, la testa, le guance». Da mangiare con le mani, l’aletta è cotta alla brace come uno spiedino (per dare mielosità alla carne e alla parte collaginosa) e spennellata con il chimichurri («Una cottura che mi fa pensare ad un asado, per il concetto di cottura della carne alla griglia e alla salsa: così torno un po’ a casa»)

Rombo: tutto quello che resta del rombo (testa, coda, spine) viene spezzettato, fritto a lungo e portato in pentola a pressione insieme a odori come aglio e alloro, per creare un fondo saporitissimo. Il pesce è sfilettato in precedenza con un’antica tecnica giapponese (ikijime, permette in sostanza di mantenere tutta la consistenza naturale e tutto l’umami della carne), cotto in piastra e lasciato riposare qualche minuto in forno

Rombo: tutto quello che resta del rombo (testa, coda, spine) viene spezzettato, fritto a lungo e portato in pentola a pressione insieme a odori come aglio e alloro, per creare un fondo saporitissimo. Il pesce è sfilettato in precedenza con un’antica tecnica giapponese (ikijime, permette in sostanza di mantenere tutta la consistenza naturale e tutto l’umami della carne), cotto in piastra e lasciato riposare qualche minuto in forno

Pancia di maialino, tartufo bianco e fugazzeta: il maialino è cotto a bassa temperatura, con il suo fondo, tamarindo, origano, cipolline sottaceto, una grattata di tartufo bianco. Tanta Argentina anche con la fugazzeta, in questa portata una sorta di cipollata caramellizzata (ma in realtà è una focaccia sudamericana farcita di cipolla e formaggio)

Pancia di maialino, tartufo bianco e fugazzeta: il maialino è cotto a bassa temperatura, con il suo fondo, tamarindo, origano, cipolline sottaceto, una grattata di tartufo bianco. Tanta Argentina anche con la fugazzeta, in questa portata una sorta di cipollata caramellizzata (ma in realtà è una focaccia sudamericana farcita di cipolla e formaggio)

Si finisce con la parte dolce.

Terere: mate a freddo, gelato di mate e peperina (quest’ultima è un’erba che cresce soltanto in Argentina, nella provincia di Cordoba e dintorni), marmellata di limone, capperi e finocchietto selvatico. Il sasso da portata è ghiacciato, per dare ulteriore sensazione di freschezza coinvolgendo anche il tatto

Terere: mate a freddo, gelato di mate e peperina (quest’ultima è un’erba che cresce soltanto in Argentina, nella provincia di Cordoba e dintorni), marmellata di limone, capperi e finocchietto selvatico. Il sasso da portata è ghiacciato, per dare ulteriore sensazione di freschezza coinvolgendo anche il tatto

Zucca, mascarpone e rosmarino: il mascarpone fresco è prodotto a Faenza. La zucca lavorata con una tecnica millenaria usata dagli aztechi in Messico: la nixtamalizzazione. La ricetta originale prevede il mais bollito con la calce: quando il chicco calcifica, viene portato in mulino per essere schiacciato, producendo una massa che viene lavorata per farla diventare una tortilla. In Argentina si usa lo stesso processo, ma con la zucca. Quindi invece di bollirla (si disfa) viene cotta in acqua e calce per una notte. Si cuoce uno sciroppo e si mette in un barattolo grande insieme alla zucca a pezzettini e si mangia insieme al mascarpone: è quella l’idea del dolce. Mariano, invece del passaggio in barattolo, fa essiccare la zucca per cristallizzare lo zucchero, ottenendo una consistenza leggermente croccante in superficie ma gelatinosa e gommosa all'interno, come se fosse una caramella di zucca

Zucca, mascarpone e rosmarino: il mascarpone fresco è prodotto a Faenza. La zucca lavorata con una tecnica millenaria usata dagli aztechi in Messico: la nixtamalizzazione. La ricetta originale prevede il mais bollito con la calce: quando il chicco calcifica, viene portato in mulino per essere schiacciato, producendo una massa che viene lavorata per farla diventare una tortilla. In Argentina si usa lo stesso processo, ma con la zucca. Quindi invece di bollirla (si disfa) viene cotta in acqua e calce per una notte. Si cuoce uno sciroppo e si mette in un barattolo grande insieme alla zucca a pezzettini e si mangia insieme al mascarpone: è quella l’idea del dolce. Mariano, invece del passaggio in barattolo, fa essiccare la zucca per cristallizzare lo zucchero, ottenendo una consistenza leggermente croccante in superficie ma gelatinosa e gommosa all'interno, come se fosse una caramella di zucca

Fortemente argentina anche la piccola pasticceria finale: muffin di arachidi e oliva nera, alfajor (un biscotto di mais con il dulce de leche), cioccolatino di ciliegia sotto spirito e arance secche candite, che concludono un pasto di straordinaria generosità

Fortemente argentina anche la piccola pasticceria finale: muffin di arachidi e oliva nera, alfajor (un biscotto di mais con il dulce de leche), cioccolatino di ciliegia sotto spirito e arance secche candite, che concludono un pasto di straordinaria generosità


Abocar Due Cucine
via Carlo Farini 13, Rimini
tel. +39 0541 22279
abocarduecucine.it
menu degustazione a 39, 56 e 68 euro
chiuso domenica sera e l'intero lunedì. Mai d'estate


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Andrea D'Aloia

abruzzese, classe 1979, nel mondo della comunicazione dal 2001. Negli ultimi anni ha maturato una specie di ossessione per la ricerca continua di cuochi emergenti. Mangia, beve, scrive: di territori e ingredienti, di produttori e cuochi. E scatta tante foto, per non dimenticare nessun particolare

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