12-02-2013

La Sardegna che non c'era

Esperti e nuove leve riscrivono in una giornata emozionante il futuro gastronomico dell'isola

Roberto Petza, cuoco del S'Apposentu e tra i soste

Roberto Petza, cuoco del S'Apposentu e tra i sostenitori più attivi della giornata dedicata alla Sardegna. Sua una lezione originale che costringe la pecora a prendere il largo (foto Michele Bella)

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Elio Sironi

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Roberto Serra, Gilberto Arru e Oliver Piras

Sulla spinta delle poderose bracciate di una squadra di campioni in divisa da chef, il congresso ha attraversato il mare Tirreno fino alle coste smeraldine della Sardegna. Più che una regione, una patria dai giacimenti gastronomici in larga parte ancora inesplorati. A rendere loro omaggio per primo il decano Sergio Mei, ormai di casa nel capoluogo lombardo. Un esilio dorato condiviso da tanti colleghi, che non hanno voluto recidere il cordone ombelicale con l’isola bella. Ecco allora i filindeu, pasta dimenticata al tramonto dell’endocucina femminile e riscoperta dai professionisti, preparata con doppio brodo ai crostacei e crescione. Talmente impalpabile da non richiedere praticamente cottura: antropologia, tecnica e una semplicità metastorica. La stessa della fregola con arselle, bottarga e carciofi, seconda zaffata di nostalgia per la grande cultura isolana della pasta e del pane.

Gilberto Arru, presentatore di giornata e Sergio Mei, chef del Four Seasons e primo relatore di giornata

Gilberto Arru, presentatore di giornata e Sergio Mei, chef del Four Seasons e primo relatore di giornata

Ma la Sardegna ha tante altre identità. Quella idealtipica di Stefano Deidda, che imbocca l’anabasi e torna alla terra del più celebre dei maialini. Un filetto laccato al miele con pancetta fondente, salsa alla senape per la detersione acida e cialda di prosciutto per la sapidità, perché il punto di partenza di Stefano è la cottura con il conseguente sapore mentale su cui operare il montaggio, usando la colla di una tecnica agguerrita e il filo degli aromi selvatici del paesaggio. Mentre Al contadino non far sapere declina l’intramontabile abbinamento in forme e consistenze inusitate, senza cedere un millimetro in pulizia e territorio. A giorni aprirà i battenti a fianco della casa madre il locale informale.

I big però non sono finiti. Il salotto della nuova cucina sarda si chiama S’Apposentu. Luogo di ricercate eleganze gastronomiche, brucato per l’occasione da una pecora, spinta da Roberto Petza, prodotto raro e speciale, accostato ai calamari in un tragitto verso il mare. Le cotture sono due: una frollatura forzata per marinatura, seguita da una arrostitura con strutto e miele, come si soleva una volta. Accanto i calamari, i carciofi spinosi spadellati e un’insalatina spontanea. Perché la Sardegna, insieme all’arco alpino, è forse l’unica zona d’Italia che possa permettersi il lusso del foraging grazie al suo paesaggio scarsamente antropizzato. Il prodotto resta il primum movens, alimentato però dallo sforzo del cuoco nella costruzione di reti pescose fra artigiani.

Stefano Deidda, certezza di Cagliari

Stefano Deidda, certezza di Cagliari

Sardo d’elezione è invece Elio Sironi, che sulle orme di Sergio Mei ha trascorso sull’isola 20 anni e ne offre una visione amorosa dalla soglia. E visto che il film della cucina del luogo indugia nella sequenza delle rivisitazioni, è stata la volta della zuppa cuata, che in dialetto sta per qualcosa di nascosto, per l’emozione di una scoperta annidata nell’astuzia del recupero. Una forma arcaica, dall’afflato religioso e pauperista, quella del piatto, rivista in chiave espressa, contemporanea, easy. “Credo a una cucina semplice ed esigente, fatta con prodotti eccezionali. In questo caso appena tre ingredienti, grande pane, grande pecorino, grande brodo”, abbinati alla purea di fave fresche con bottarga, pecorino, scorza di limone. Senza accanimenti, perché “la troppa tecnologia priva la cucina della sua carica sexy, dell’emozione del gesto”. E ancora la burrida, con la razza sobbollita nel fumetto, la salsa di aceto, pinoli, fegato di oca e cipolla caramellata per la botta acida. E visto che la sottrazione non è più un dogma, anche gambi di carciofi spadellati.

Ritorno sulla costa con Manuele Senis e Mario Tirotto. Giovani leoni marini e ruggenti. Il primo, produttore ittico in proprio, ha portato sul palco istanze naturalistiche e di sostenibilità dalla sua laguna di Nora. Un ecosistema unico, riassunto in carpaccio di muggine marinato alle erbe della laguna con crema di salicornia e insalatina di finocchio di mare. Per rispettare anche la natura e il prodotto nella sua interezza. Mario dal canto suo cucina 100% sardo. Il suo polpo, rarissimo in laguna, ha incontrato prodotti altrettanto atipici in un habitat bastardo come i funghi, più una tradizionale crema di fegato di polpo in condimento.

Mario Tirotto e Manuele Senis con Giuseppe Carrus, co-presentatore della giornata 

Mario Tirotto e Manuele Senis con Giuseppe Carrus, co-presentatore della giornata 

Finale isolano col giovane duo Oliver Piras-Roberto Serra. Il primo, classe ’86, in realtà ha ampiamente sconfinato, impiattando ora a Cortina d’Ampezzo - la formazione è però con Petza - ma si trova a suo perfetto agio col quasi coetaneo (è di tre anni più vecchio), in nome della Sardegna a tavola del futuro. Parte quest’ultimo con un’ode all’eccellenza delle materie prime locali - pane carasau, pompia (un incrocio di cedro e pompelmo), caglio ovino… – e poi propone una sintesi di sardità: Lombetto di pecora marinato con le erbe aromatiche, arrostito in padella, poi rifinito in forno a 90° sotto una coperta di mirto, servito con un’insalatine di cicorie selvatiche con mandorle sarde e sapa di fichi d’india. Esortazione alla platea: «Mangiatelo con le mani!». Piras si lancia invece in una delicata reinterpretazione della ricotta sarda (aromatizzata all’arancio e zafferano) cotta in un guscio d’isomalto.

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Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini

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