07-12-2018
Foto di gruppo nella sala ristorante di Identità Golose Milano per, da sinistra: Pino Cuttaia, Gioacchino Gaglio, Angelo Treno e Damiano Ferraro (foto On Stage Studio)
Si è da poco chiusa, a Identità Golose Milano, la settimana (la prima: ne arriveranno altre prossimamente!) dedicata all'associazione delle Soste di Ulisse, che dal 2002 raccoglie in Sicilia un considerevole numero di eccellenze tra ristoranti gourmet, hotel di charme, maestri pasticcieri, prestigiose cantine e importanti aziende agroalimentari.
Per il pubblico che frequenta l'Hub Internazionale della Gastronomia di via Romagnosi 3 è stata l'occasione per incontrare quattro ispirati e appassionati ambasciatori di una terra ricchissima di cultura e di tradizioni enogastronomiche: a guidare questa rappresentanza è stato il presidente dell'associazione (per il triennio 2018-2020) Pino Cuttaia de La Madia a Licata (Agrigento). Con lui Damiano Ferraro di Capitolo Primo a Montallegro (Agrigento), Gioacchino Gaglio di Gagini Social Restaurant a Palermo e Angelo Treno di Al Fogher a Piazza Armerina (Enna).
«Non sono un figlio d'arte - ci ha detto raccontandoci i suoi esordi - né posso dire che quando iniziai, nel 1988, potessi essere appassionato di alta cucina, perché allora in Italia di alta cucina c'era ben poco, c'erano Marchesi, Santini, pochi altri. Mi è sempre piaciuto mangiare bene, ma quello che desideravo era un ingresso veloce nel mondo del lavoro. E vedevo che i miei amici che facevano l'alberghiero viaggiavano molto e trovavano da lavorare. Con le prime esperienze però mi sono fatto subito affascinare dalle possibilità che offriva la ristorazione moderna, che proprio in quegli anni si stava sviluppando. Da lì sono arrivate esperienze molto importanti, in grandi alberghi in Svizzera, a Londra a Le Gavroche dei fratelli Roux, all'Antica Osteria del Ponte da quel maestro che è Ezio Santin».
«Per me tornare in Sicilia - continua - è stato molto importante, mi ha dato modo di esprimere fino in fondo per quello che ero. Fino ad allora mi sentivo come un alberello chiuso in un vaso: poi ho potuto rimettere radici nella mia terra. E a chi viene a mangiare da noi credo di poter offrire, oltre che qualcosa di buono, uno spaccato di sicilianità. Qualcosa che non è solo una rappresentazione di prodotti, di tradizioni, ma anche la storia di una società, di una cultura rurale, di un percorso personale. Sono innamorato della mia terra e la mia ricerca si estende a 360°».
«Il mio percorso nella cucina - ci confida - nasce dalla curiosità. Mio padre era un contadino: quando lo andavo a trovare, finita la scuola, mi faceva assaggiare cose buonissime. Nella zona a sud di Piazza Armerina, da dove vengo, al tempo c'erano diversi fiumiciattoli, fatti di ciottoli e sabbia: lui lì prendeva granchi e gamberi di fiume, poi li arrostiva sulla fiamma viva. A volte capitava di acciuffare qualche anguilla. E così credo che l'idea di mangiare cose particolari, di non accontentarsi di quello di cui si cibano tutti, sia entrata dentro di me».
«La magia della Sicilia - spiega con vera passione - sta nell'incontro avvenuto nella nostra regione tra molte tradizioni e culture diverse, per via delle dominazioni che si sono succedute. Al resto ha pensato una terra straordinariamente fertile, che ha permesso di prosperare a qualsiasi coltura arrivata qui. Siamo un esempio unico nella storia, un'isola in cui hanno convissuto pacificamente le tre grandi religioni monoteiste, in un continuo scambio culturale. La nostra cucina si è arricchita nello stesso modo. Fino a non molto tempo fa però in Sicilia la maggior parte dei cuochi non era molto interessata a una ricerca attenta e approfondita su questa ricchezza culturale e gastronomica. Ora le cose stanno cambiando, per fortuna, e ho fiducia nel fatto che le nuove generazioni proseguiranno su questa strada».
«Credo di aver sempre desiderato di diventare un cuoco - racconta con un sorriso - soprattutto perché nella mia famiglia erano in tanti a lavorare nella ristorazione: quattro zii, oltre a mio padre. Ci sono nato in mezzo. E a casa si mangiava sempre quello che mio padre coltivava nel suo orto: infatti oltre a essere un bravo cameriere, era anche un bravissimo contadino. Grazie a lui ho imparato a conoscere il sapore vero, genuino, dei prodotti della terra, un insegnamento fondamentale. Poi io ho fatto l'istituto tecnico elettronico, ho studiato all'università Scienze Motorie, ma andando contro i consigli di mio padre, che mi diceva sempre che era un lavoro pieno di sacrifici, ho deciso di intraprendere questa strada. Non avendo fatto l'alberghiero prima, per perfezionare la mia preparazione ho scelto di fare il corso di ALMA».
«La mia è una cucina di memoria, di sensazioni - continua - per far vivere ai nostri commensali un'esperienza del territorio, per raccontare quei sapori che i miei genitori portavano in tavola. Oltre a questo, a me piace viaggiare in tutto il mondo e cogliere spunti e ingredienti. Amo molto il Giappone, la cura maniacale per i dettagli e per la preparazione del pesce, adoro le spezie marocchine e indiane, ma già in Sicilia si trovano spunti che arrivano da culture diverse, è stato un luogo di contaminazioni ricchissime. Per cui per me la Sicilia è un punto di partenza fondamentale, che poi mi permette di abbracciare tutto il mondo».
«Quando ho iniziato a fare questo mestiere - ci spiega partendo dai suoi esordi il Presidente delle Soste di Ulisse - quello che mi interessava era stare in cucina. Quindi non mi rendevo conto allora di quanto un cuoco, a distanza di anni, possa essere importante per un territorio. Il nostro lavoro è cambiato: ho capito con il tempo che il cuoco è sempre di più un custode della cultura del cibo domestico, che viene tramandata sempre meno da padre a figlio. Dipende anche dalle mie caratteristiche: per me è importante proporre una cucina di memoria, una cucina popolare, inclusiva. Il cuoco poi è anche un elemento di sintesi di tanti altri lavori e saperi, di tanti artigiani, che attraverso il proprio impegno fanno grandi prodotti; che però possono essere valorizzati solo da un cuoco, che ne diventa così ambasciatore. Pensiamo al mare, a come il mestiere dei pescatori diventi sempre meno sostenibile: molti pesci non sono più richiesti dal mercato e vengono ributtati in acqua, perché nelle case non ci sono più le persone in grado di cucinarli. Solo il cuoco può continuare a tenere in vita queste tradizioni. E' per questo che un cuoco oggi non è più solo una persona che cucina, ma diventa un ambasciatore del territorio e della sua cultura materiale, artigianale e gastronomica. Questo è il progetto che mi sono prefissato, perché rispecchia la mia persona e il mio stile di vita: se propongo una cucina che richiama le memorie e la cultura di un popolo, ecco che quella cucina non sarà mai presuntuosa, non rispecchierà solo le mie idee, ma diventerà evocativa, emozionale, non nutrirà solo la pancia, ma anche i sensi».
Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola
a cura di
Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare Instagram: @NiccoloVecchia