10-07-2018
Il 73° congresso di AssoEnologi a Trieste, dal 5 all’8 luglio, è stata l’occasione per degustazioni di grande spessore, friulane (solo bianchi però) e internazionali, Cina compresa, e relazioni a tutto campo. Il prossimo è fissato a Matera, quando si spera non sentiremo più relatori collocare Franco Biondi Santi tra i sommi produttori di Barolo, con tanto di immagine sullo schermo.
Con l’occasione torno a ringraziare Riccardo Cotarella, presidente degli enologi italiani, per avermi dato l’opportunità di salire sul palco del Teatro Verdi per parlare dell’Anno della Cucina Italiana, l’anno in corso. Titolo: Occasione mancata o passo verso il futuro? A seguire un sunto del mio intervento.
«E’ brutto dirlo, ma cosa si deve pensare dell’Anno del cibo? Cade nel 2018, nei dodici mesi che stiamo vivendo, ma sembra messo insieme in fretta e furia, giusto perché non si dica che ai massimi livelli si trascuri un settore fondamentale per la nostra economia, salvo lasciarlo lì ai margini perché lanciato da un governo in scadenza ed eredito da quello successivo, di matrice opposta e lì arenatosi.
Il premio Oscar J.K.Simmons, a destra in Whiplash, pellicola del 2014
«Cibo è una parola vasta come gli oceani sommati tra loro. Tutto quello di cui ci nutriamo è cibo e proprio per questo il termine finisce con il perdere efficacia e diventare generico. In Italia non abbiamo ancora capito e assorbito, a ogni livello, che un Bottura vittorioso per la seconda volta nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants vale un Vettel vittorioso con la Ferrari. Nessuno invidia, è geloso di un perdente, solo che se si parla di tavola pochi sanno dare il giusto valore a cuochi e locali. Non sanno collocarli e prendere i migliori a esempio, liberi tutti nel privato di scegliere questa o quella tipologia di ristorazione. Per ammirare un bolide di Maranello non dobbiamo necessariamente averne uno in garage. Il rispetto viene da sé.
«Gli esempi felici, dei quali si dovrebbe fare tesoro prima di tutto a livello governativo, sono millanta. Ne prendo due e non scomodo la Francia, esempio
Massimo Bottura due volte vittorioso ai 50 Best: a sinistra nel 2016 a New York e nel 2018 a Bilbao
«Per fare sì che il Paese venisse scelto anche per i Blue Crabs e non solo l’Ayers Rock, a inizio 2013 venne lanciato il progetto Restaurant Australia. Coinvolse 80 personaggi di 16 diversi nazioni, invitati a una cena il 14 novembre 2014 a Hobart in Tasmania. Tre chef attenti a fuochi e fornelli. Mai visto qualcosa di simile da noi. Ci saremmo subito chiesti perché quei tre.
«Ma ritengo ancora più incredibile il caso della vicina Slovenia dove il governo ha organizzato a fine gennaio scorso, nella capitale Lubiana, una conferenza per annunciare la volontà di diventare una meta bramata dal turismo gastronomico. Con tanto di candidatura per essere scelta nel 2020/21 come Regione Europea della Gastronomia. Fin qui nulla di singolare. Sbalorditivo invece sapere che questo cammino ha iniziato a prendere forma in tempi non sospetti, nel 2006, davvero impensabile da noi.
Ana Ros, esempio vincente del sistema Slovenia
«Ho scelto un simbolo che bene definisce questo casuale nostro modo di procedere: il minestrone, una preparazione che appartiene a ogni cultura e ovunque ben poco emozionale e appetibile. La proietto perché prima la Settimana della Cucina Italiana di qualità nel mondo, a fine novembre è prevista la terza, e adesso l’Anno del cibo non sono ancora scanditi da passi chiari e meritocratici. Anche se in questo secondo caso è bene ricordare che esiste un Comitato tecnico di coordinamento del quale fanno parte anche Riccardo Cotarella e Carlo Petrini, gli chef Cristina Bowerman e Massimo Bottura, il maestro pizzaiolo Enzo Coccia.
Il minestrone, simbolo di tanta improvvisazione italiana
«Ma questa iniziativa non va vista come un’occasione mancata. Certo, ha tanti motivi per essere considerata tale, ma meglio nutrirsi di ottimismo e pensare che possa nel tempo rivelarsi un seme che muterà la percezione delle cose. Fino al 2016 nemmeno si pensava potessero nascere la Settimana nel mondo e ora
Angelo Gaja sul palco del Teatro Verdi in occasisone del 73° congresso degli enologi italiani sabato 7 luglio 2018
«I nostri cugini sanno fare benissimo i loro interessi, possibile noi non si sappia mai trarre lezione da questo? Non si tratta di boicottare la guida per antonomasia, sarebbe davvero stupido, ma di trovare altri vie per affermare la qualità di casa nostra. Non dovrebbe essere uno sforzo titanico, gli esempi non mancano. Mi riferisco al più evidente: i cosiddetti Fifty Best. Votano un migliaio di esperti e addetti ai lavori, cuochi e patron compresi, una formidabile operazione di marketing e propaganda mediatica.
«Tre realtà che parlano al mondo, il francese è la lingua dell’haute cuisine, l’inglese l’autentico esperanto, e noi italiani cosa possiamo controbattere? Dovremmo fare leva sul fatto che ovunque trovi una pizzeria, ovunque si concludono pranzi e cene con il tiramisù, ovunque i nostri cuochi sono chiamati a
Niko Romito
«La conferma da uno studio commissionato dalla scuola di Alma alla Deloitte, la stessa agenzia che certifica i voti espressi a livello di 50 Best. Sono andati nel mondo dove tutti amano i nostri piatti simbolo e dove li gustano a prescindere da oscar, bollini e stelline. In un mercato globale, nel 2016 la ristorazione ha fatto segnare un valore di 2.210 miliardi di euro, con l’area di Asia e Pacifico che da sola ne copre il 46%. Il punto che ora ci deve interessare di più è quello legato alla globalizzazione delle nostre bontà. Siamo secondi al mondo, ci precede solo la Cina che vuole dire stare in scia a un Paese abitato da un miliardo e 385 milioni di anime. Noi 60. Un dato per tutti: gli affari generati dalla ristorazione
Piazza Unità d'Italia a Trieste ha fatto da sfondo alla cena conclusiva del 73° congresso di AssoEnologi
«Con un allarme lanciato da Niko Romito nel 2016 e validissimo tuttora: “La spinta a partire c’è da sempre. Ma troppo spesso chi si imbarca in un Grand Tour dell’Europa, dell’America e dell’Asia lo fa non avendo ancora coltivato i geni della propria italianità. E quando torna, se torna, difficilmente riesce a esprimerli al meglio, o forse non vuole neanche. Ed è qui che perdiamo tutti. E allora io dico che al loro ritorno i nostri giovani curiosi dovrebbero imbarcarsi in un Grand Tour dell’Italia, affrontandola come farebbero con l’Australia”. Ci facciamo stregare da ceviche e licheni, sushi e brodi orientali. E l’Italia perde forza di attrazione».
Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito
a cura di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi