20-07-2020

Bignè fritti ai Mondiali di sci di Morioka

Nel 1993 la leggenda del Trigabolo di Argenta arrivò fino in Giappone con un dessert figlio del talento di Mauro Gualandi

XXL, 50 piatti che hanno allargato la mia vita, scritto da Paolo Marchi assieme con Annalisa Cavaleri, è stato pubblicato da Mondadori Electa nell'ottobre 2014, la prefazione è di Oscar Farinetti. Questo è il sedicesimo di cinquanta racconti.

La Santa a Genova, il Savini di una volta a Milano, Cantarelli a Samboseto sono locali entrati nell'olimpo della cucina italiana. Sono quei posti che hanno fatto la storia, al punto da essere evocati quando si rimpiangono i bei tempi andati, piuttosto che quando si vogliono indicare dei punti di riferimento. Ormai non ci sono più, eppure sono sempre presenti nella memoria storica dei gastronomi e dei golosi più appassionati.

In questa galleria di eccellenze per me un posto d'onore ce l’ha una ex pizzeria che, acquistata nel 1979, sarebbe cresciuta di qualità, diventando un indirizzo a tutta bontà. Lunga, infatti, è la fila di chef stellati che sono cresciuti al Trigabolo di Argenta, in provincia di Ferrara. Quando fallì definitivamente, le stelle erano due, ma tutti pensavano fossero tre da quanto si mangiava bene, sia per la varietà di proposte (la cacciagione!) sia per l'innovazione continua in carta.

Mirella e Peppino Cantarelli

Mirella e Peppino Cantarelli

Un errore che fanno in tanti, al momento di accingersi ad acquistare un ristorante, è quello di credere che, oltre alle mura, siano in vendita anche le stelle e i voti positivi dei critici enogastronomici. Invece quelli sono legati alla bravura del cuoco, via lui, si riparte da zero. La nuova proprietà deve, quindi, dimostrare di saper volare alto come la precedente, senza farla rimpiangere.

Il Trigabolo stregava perché era la somma di più talenti, a iniziare da chi, tra sala e cantina, iniziò tutto, Giacinto Rossetti. Lui aveva un naso incredibile per i vini e per tutto quello che poteva contribuire a far star bene la gente, unito a un fiuto eccezionale per la scelta dei collaboratori. Lo chef era Igles Corelli, che, a sua volta, volle come spalla Bruno Barbieri, che oggi è un volto di Masterchef, ma che allora non aveva ancora diciotto anni e si sarebbe rivelato un fior di professionista.

Igles Corelli (foto Lido Vannucchi)

Igles Corelli (foto Lido Vannucchi)

E non erano forti soltanto sui piatti salati: il Trigabolo era uno dei pochi ristoranti che teneva in grande considerazione anche la pasticceria, affidata a quel talento, allora appena uscito dall'Istituto alberghiero, che si chiamava Bruno Gualandi.

In genere i ristoranti di casa nostra stupiscono fino ai secondi, a volte trovi un ricco carrello dei formaggi, ma sul dessert è un crollo verticale. I soliti tortini di cioccolato dal cuore caldo, o i semifreddi di nocciola da affogare nel caffè, forniti da qualche pasticceria esterna.

Lì, invece, negli anni Ottanta, veniva offerto un menù curato nei minimi dettagli dall'antipasto al dolce, quando in genere per concludere il pasto si andava difficilmente oltre un'overdose di zuccheri.

Il pampepato di Mauro Gualandi

Il pampepato di Mauro Gualandi

Grazie a Corelli il Trigabolo era anche un luogo di pensiero e di confronto attorno al tema della cucina. Lo chef ideò la kermesse Sapori & saperi, che in primavera portava i nuovi volti dell’alta cucina ad Argenta, che, se vogliamo dirla tutta, non era esattamente come Parigi, Londra o New York. C'erano momenti in cui bisognava essere assolutamente lì, perché il nuovo e il meglio passavano da quel ristorante. Un nome per tutti, un Ferran Adrià poco più che ventenne.

Al Trigabolo potevi mangiare il germano ripieno al pesce gatto in salsa di caffè e mandarino, oppure i ravioli di faraona allo zabaione di Parmigiano. I piatti erano sempre la somma di tanti elementi, magari cotti per conto loro e poi assemblati nel piatto per creare un’armonia di gusto unica. E quando avevi ancora netto, nel palato e nella mente, il piacere per quello che avevi gustato tra antipasto primo e secondo, bevendo altrettanto bene, ecco che Gualandi ti porgeva i bignè fritti alla salsa di mandarino, una crema pasticcera ghiacciata e zucchero caramellato.

Alberto Tomba in azione alle Olimpiadi di Nagano 1998

Alberto Tomba in azione alle Olimpiadi di Nagano 1998

In genere la pasta choux, per quanto buono possa essere il suo ripieno, risulta sempre un po' troppo densa e poco ariosa, mentre Gualandi riusciva a realizzare nuvole morbidissime. Quello che mi entusiasmava, oltre alla bontà in sé, era il fatto che fosse riuscito a mettere insieme con equilibrio solo note dolci.

Ed è bello ricordare che Corelli e la sua banda non disdegnavano le uscite più popolari, come cucinare a seguito della Nazionale italiana di Sci alle Olimpiadi o ai mondiali. Non scorderò mai quella volta che, arrivato a Morioka in Giappone, un niente sommerso dalla neve chissà dove, entrai a Casa Italia. Ero lì per i Campionati del Mondo del 1993, deludenti per Alberto Tomba purtroppo. Nevicò per 15 giorni di fila con tante complicazioni che il supergigante maschile non ebbe mai luogo.

Bignè fritti alla salsa di mandarino

Bignè fritti alla salsa di mandarino

Ci si trascinava tra la sala stampa e l’albergo in cerca di qualche bella storia da raccontare. Io trovai la mia la mattina che Corelli e Gualandi prepararono un pranzo del Trigabolo solo per me e per tre colleghi, quando tutt'attorno impazzava una bufera. Mi commossi quando, invitato a chiudere gli occhi, li riaprii davanti a quei magici bignè fritti. Il pasticciere addirittura si scusò perché non erano perfetti come in Italia. Per me, invece, erano ancora più buoni, perché creati in un luogo praticamente impossibile: un bar sommerso nella neve attiguo alla partenza di una seggiovia.


XXL Marchi

Piatti e momenti che hanno allargato la mia vita

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
instagram instagram.com/oloapmarchi

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