28-06-2020

Il risotto del Diavolo: porcini e mirtilli

Negli Anni '80 la nouvelle cuisine entrò nel menù del Milan con un piatto di Pina Bellini: al Giornale ne scrissi in prima

XXL, 50 piatti che hanno allargato la mia vita, scritto da Paolo Marchi assieme con Annalisa Cavaleri, è stato pubblicato da Mondadori Electa nell'ottobre 2014, la prefazione è firmata da Oscar Farinetti. Questo è il tredicesimo di cinquanta racconti.

Quando ho visto il film Il Diavolo veste Prada mi colpì la scena in cui la giovane protagonista e la diabolica redattrice di moda Miranda Priestly sono impegnate a scegliere tra due cinture da abbinare a un capo. Miranda solleva le cinture e le guarda attentamente. Sono entrambe azzurre, ma di sfumature leggermente diverse. La giovane Andrea ridacchia con sufficienza. “Lo trovi divertente?” chiede Miranda. “A me sembrano assolutamente identiche”, risponde la ragazza. La risposta della donna equivale a una depilazione fatta con la fiamma ossidrica, la brucia letteralmente, ricordandole che, tre anni prima, i più grandi stilisti dell’Alta moda avevano decretato che quello sarebbe stato il colore di punta della stagione. Prima le passerelle, poi il prêt-à-porter e, come terza tappa, i cestoni delle offerte dei grandi magazzini, dove sarebbe stato acquistato da sciacquette piene di sé venute a cercare lavoro a Manhattan.

Meryl Streep, alias Miranda Priestly, e Anne Hathaway, Andrea Sacks il suo personaggio, in un momento di Il Diavolo veste Prada

Meryl Streep, alias Miranda Priestly, e Anne Hathaway, Andrea Sacks il suo personaggio, in un momento di Il Diavolo veste Prada

A me successe qualcosa di simile grazie al Milan. Il mondo del pallone, e dello sport in generale, non si sono mai distinti per una particolare attenzione all’alta cucina. Per anni e anni l’allenamento poteva essere tecnico o atletico, in campo con il pallone o in palestra con gli attrezzi, quello che poi veniva consumato a colazione, pranzo o cena dagli atleti era di una banalità desolante.

I carboidrati e la pasta poco prima della gara, la carne nei giorni di allenamento, perché più lunga da digerire, tanta verdura e tanti zuccheri per tirarsi su. Lasciamo stare il lato oscuro del doping, che certo non è più ristorazione e buona tavola. Ma al Milan qualcosa stava cambiando. Con l’avvento di Silvio Berlusconi, febbraio 1986, la squadra modificò letteralmente il rapporto con il

Silvio Berlusconi, da poco presidente del Milan, in visita al centro tecnico di Milanello nel marzo 1986, posa tra l'allenatore Nils Liedholm e Paolo Rossi. Sulla destra Franco Baresi e in tuta Mauro Tassotti

Silvio Berlusconi, da poco presidente del Milan, in visita al centro tecnico di Milanello nel marzo 1986, posa tra l'allenatore Nils Liedholm e Paolo Rossi. Sulla destra Franco Baresi e in tuta Mauro Tassotti

cibo. Nulla a che spartire con libagioni stellate, ma, grazie agli studi dello staff medico, la dieta dei calciatori iniziava a diventare più varia e piacevole. Eravamo nella seconda meta degli anni Ottanta, è bene ricordarselo. Fece scalpore quando, nel 1986, il Cavaliere vietò ai giocatori di mangiare le crostate di frutta.

Per me cronista sportivo andare a fare un servizio a Milanello era un piacere per il palato, e solo per quello, visto che tifo Inter, ma dal punto di vista gastronomico, devo ammettere che i cugini ci battevano per due a zero. Nella tana del Diavolo dominava tra pentole e fornelli un cuoco fenomenale, che preparava uno dei migliori crème caramel mai mangiati, poco zucchero e tanto uovo, il tutto tendente al bruciato, un sapore intenso e memorabile.
Con il passaggio della squadra dal presidente Farina a Berlusconi cambiò anche la proposta del ristorante.

Le cose so svolgevano così. La squadra si allenava e tu seguivi i vari esercizi in campo. Quando i giocatori si infilavano negli spogliatoi, la stampa saliva nella sala del camino per ascoltare la conferenza dell’allenatore. Intanto i giocatori si recavano nella clubhouse e pranzavano. Quando loro e noi avevamo finito - loro di mangiare e noi di ascoltare - erano i tecnici a sedersi a tavola e i calciatori a mettersi a disposizione dei giornalisti. E via altre interviste. Si andava avanti così

almeno fino alle due del pomeriggio e, quando anche l’ultimo dei titolari era tornato in camera, ci veniva aperta la seconda sala da pranzo, quella per chi era lì di passaggio. Il cuoco irrompeva e ci ricordava non tanto quanto c’era nel menu, ma quanto era avanzato. Un primo, un secondo e tanta verdura. Qualche volta ci scappava anche un dolcetto.

Un bel giorno Baresi e compagnia rossonera disdegnarono il risotto, ricco di funghi porcini e mirtilli: a loro quell’abbinamento sembrava uno scandalo. Anche tutti quelli che erano al tavolo con me si misero a ridere. Io, invece, rimasi di stucco. Il risotto mirtilli e porcini è stato un piatto simbolo della nuova cucina italiana, un vanto di Pina Bellini, nata nel 1921 e scomparsa nel 1997, la gran cerimoniera della Scaletta, ristorante milanese a Porta Genova. Era un piatto che tendeva al dolce e al cremoso, difficile raggiungere un equilibrio per il cuoco senza sbracare, facendolo diventare una pappa poco invitante. Ma Pina era toccata dal dio del gusto e non

sbagliava mai. A chi le chiedeva come le fosse venuto in mente un simile matrimonio rispondeva che funghi e mirtilli crescono nello stesso sottobosco e, se vivono così a stretto contatto, sarebbero certamente stati contenti di morire insieme.

Mi colpì molto questo scivolare in basso di un piatto che apparteneva all’innovazione della cucina italiana degli anni Ottanta. Così, prima scrivere l’articolo, decisi di andare in direzione per fare notare che la nouvelle cousine doveva essere morta se un primo che aveva sempre fatto scalpore era diventato un piatto mangiato in un giorno infrasettimanale qualsiasi da una squadra di calcio. In pratica, come il colore citato nel film Il Diavolo veste Prada, quell’intuizione era finita “nei cestoni dei grandi magazzini”, ai margini della cucina contemporanea, e non aveva più nulla da dire alla ristretta cerchia di appassionati gastronomi alla costante ricerca del nuovo. Fui così convincente che ne scrissi in prima pagina sul Giornale e mi sono sempre chiesto se tanta fiducia e tanta vetrina mi fossero state concesse per il fatto che io parlassi del Milan - visto la proprietà in comune - piuttosto che per un reale interesse verso la gastronomia. Credo fosse un mix di tutte e due le cose.

Riccardo Agostini, chef e patron del Piastrino a Pennabilli (Rimini), sul portone di Identità Golose Milano nel giugno 2020

Riccardo Agostini, chef e patron del Piastrino a Pennabilli (Rimini), sul portone di Identità Golose Milano nel giugno 2020

Una quindicina di anni dopo avrei incrociato di nuovo il risotto funghi e mirtilli in tutt’altra regione e da tutt’altro cuoco: Riccardo Agostini del ristorante Il Piastrino di Pennabilli, alle spalle di Rimini. Sorpresa: non conosceva la storia di Pina Bellini, però il suo risotto era davvero ottimo e la ricetta che vi propongo è la sua.

La ricetta
Risotto porcini e mirtilli

Ingredienti (per 4 persone): 300 g riso Carnaroli; 500 g porcini freschi; 250 g mirtilli freschi; 1 bicchiere di vino bianco; olio extravergine d’oliva; burro; 1 cipolla piccola; 1 spicchio d’aglio; 50 g Parmigiano Reggiano o Grana Padano; 1 l brodo vegetale; prezzemolo tritato; sale e pepe quanto basta.

Preparazione: Mi rendo perfettamente conto che aggiungere dei mirtilli a uno dei risotti più classici della cucina italiana, quello ai funghi porcini, sembra una provocazione gratuita. Ma, se si è bravi nel dosare i vari ingredienti, il risultato finale è molto piacevole, perché gioca sul contrasto tra l’intensità dei porcini e la dolcezza dei mirtilli.

Per iniziare tagliate sottilmente la cipolla e fatela soffriggere in padella con olio e burro. Non abbiate fretta, un buon soffritto richiede almeno un quarto d’ora a fuoco minimo. Unite il riso e tostatelo per un paio di minuti, fino a quando non diventa trasparente. Iniziate a bagnare con il brodo vegetale caldo.

Prendete i porcini freschi e puliteli con spazzola e coltellino per rimuovere ogni traccia di terra. Non passateli sotto l’acqua, perché perderebbero ogni sapore. Tagliateli a fettine sottili. Fuori stagione potete anche utilizzare gli champignon, irrobustiti da un pugno di porcini secchi lasciati in ammollo per almeno sei ore e poi strizzati. In un tegame fate soffriggere uno spicchio d’aglio, aggiungete le fettine di funghi e fatele saltare a fuoco vivo per 5 minuti.

Controllate che il riso proceda bene e, dopo circa dodici minuti di cottura, in pratica due terzi, aggiungete i funghi, senza mai smettere di girare per amalgamare bene il tutto.
Solo all’ultimo momento unite i mirtilli e, a fuoco spento, aggiungete burro e formaggio grattugiato, mantecando con cura. Servite il risotto caldo con un pizzico di prezzemolo fresco e pepe.

Se qualche ospite vi chiederà, un giorno, di preparare il famigerato risotto alle fragole, rispondete che voi siete persone serie e preferite un piatto di risotto funghi e mirtilli.


XXL Marchi

Piatti e momenti che hanno allargato la mia vita

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
instagram instagram.com/oloapmarchi

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