28-12-2018

Luca Caruso: vi racconto di me. E di Salina

Martina, il Signum, la sala, l'isola, i miei genitori... Colloquio a 360° con il carismatico direttore dell'hotel-ristorante eoliano

Luca Caruso nella cantina del Signum

Luca Caruso nella cantina del Signum

Torniamo per un attimo a Parma, alla presentazione della Guida Michelin 2019. Non si è fatto che parlare di chef, di stelle confermate, perse o assegnate. Della validità o meno della guida stessa. Del fatto che rifletta o meno la reale qualità di un ristorante. Perché i sushi bar sì, ma le pizzerie no? E via dicendo. Per ammissione della stessa Michelin, “le stelle sono nel piatto”. Ma tutti sappiamo che quello che esce dalla cucina può venir esaltato o rovinato dalla qualità del servizio in sala. Se, come dicono tutti gli chef, ciò che conta, più che la stella, è la soddisfazione del cliente e cioè la qualità della sua esperienza, ci si permetta di accendere i riflettori questa volta su un direttore di sala che ci piace (e di tornare su questo argomento in futuro, come Identità ha spessissimo fatto già in passato). Se la stella, infatti - o comunque il nome e il talento di uno chef - è la ragione per andare in un ristorante, la qualità del servizio e dell’accoglienza sono, il più delle volte, il motivo per tornarci.

La terrazza del Signum all'alba

La terrazza del Signum all'alba

È quanto succede per esempio al Signum di Salina, nelle Isole Eolie, hotel boutique di charme superbamente diretto da Luca Caruso che lavora fianco a fianco con la sorella Martina Caruso, giovane talento stellato di cui abbiamo già parlato. Luca, classe 1980, anima del Signum, manager dell’hotel, direttore del ristorante nonché responsabile della wine cellar - e artefice di una delle più interessanti carte dei vini di tutta la Sicilia - è stato capace di creare quell’atmosfera di autentica ospitalità che è la marcia in più di questo hotel.

«Quando arrivi al Signum, perfino i fiori lungo il vialetto di ingresso ti sorridono». La dichiarazione è di Giò Martorana, fotografo palermitano che nella sua carriera ha fotografato food, vino, architettura, donne, natura, moda e paesaggi - uno insomma che di cose belle se ne intende - e che quest’anno ha creato un video per celebrare i 30 anni di attività dei Caruso. L’anno di apertura di quello che ormai è diventato un classico dell’ospitalità siciliana - e suo fiore all’occhiello - è il 1988: trent’anni rotondi quest’anno, appunto. Non tutti sanno che il nome scelto da Clara Rametta (ieri direttrice del Signum, oggi sindaco di Malfa nonché madre di Martina e Luca) per il suo boutique hotel, richiama gli inizi non proprio facili: e cioè l’incidente con l’amministrazione locale dell’epoca, che bloccò momentaneamente i lavori di costruzione poco dopo il loro inizio, apponendo appunto un sigillo, signum in latino.

Clara Rametta, ieri direttrice del Signum, oggi sindaco di Malfa, coi suoi due ragazzi (carusi, in siciliano) Martina e Luca durante una delle serate per la raccolta fondi per la costruzione del cinema

Clara Rametta, ieri direttrice del Signum, oggi sindaco di Malfa, coi suoi due ragazzi (carusi, in siciliano) Martina e Luca durante una delle serate per la raccolta fondi per la costruzione del cinema

Episodio divenuto non motivo per piangersi addosso, ma per celebrare la propria determinazione e forza di volontà - per aspera ad astra - che hanno dato la luce a quella che oggi è una magnifica struttura simbioticamente incastonata nella bellezza del luogo: "Il Signum non sarebbe tale su un'altra isola e Salina non sarebbe la stessa senza il suo sigillo", si legge nel sito dell’hotel. Aggiungiamo noi: Salina e il Signum non sarebbero gli stessi senza la famiglia Caruso. Senza la determinazione e la visione di Clara Rametta e Michele Caruso (fu lui a sussurrare sovrappensiero,  più di trent’anni fa, “qui ci starebbe bene un hotel”, ammirando il panorama dal luogo dove oggi sorge la struttura), senza il talento della giovanissima chef Martina Caruso, e senza il fascino e la squisita ospitalità di Luca Caruso, colui che appunto coordina e dirige hotel e ristorante.

Uno scorcio del ristorante del Signum

Uno scorcio del ristorante del Signum

Luca, da 16 anni dirigi hotel e ristorante di famiglia. Che cosa hai imparato sulla direzione di sala e sul servizio?
«Personalmente tratto i miei ospiti e clienti come mi piacerebbe essere trattato. Naturalmente sorridere è importante, come è importante essere gentili ed accoglienti. È necessaria una buone dose di empatia, un minimo di psicologia, oltre alla capacità di leggere attraverso i gesti. È un lavoro sartoriale, nel senso che l’attenzione verso ogni cliente deve essere personalizzata, a seconda di chi si ha davanti. Non si tratta solo di portare una bottiglia al tavolo, tutto è importante: dalla prima accoglienza al modo in cui vengono prese le ordinazioni. Quello che si cerca di fare è mettere al centro della propria attenzione l’ospite, facendogli vivere un’esperienza a tutto tondo, valorizzando i propri punti di forza e le proprie peculiarità attraverso i piatti e le materie prime utilizzate, senza scordarsi del contesto: l’atmosfera, l’ambiente in cui si svolge il servizio, la cortesia e l’attenzione del personale di sala, le porcellane, i cristalli, le selezioni di vini e bevande. Tutti questi dettagli concorrono a caratterizzare un luogo e a rendere un pasto un grande pasto: un momento di conforto per lo spirito e per l’anima, un’esperienza appagante nel suo complesso».

Luca Caruso mentre dà istruzioni alla sua squadra (foto di Stefano Butturini)

Luca Caruso mentre dà istruzioni alla sua squadra (foto di Stefano Butturini)

Questione “emergenza sala”: in Italia, e in particolare in Sicilia, la qualità del servizio in sala stenta a star dietro alla qualità della cucina. È difficile trovare personale qualificato. Come mai, secondo te? Come vedi tu il servizio in sala? Quali doti e talenti sono necessari?
«Purtroppo in Italia manca una cultura forte del servizio di sala. Troppo spesso il personale che se ne occupa non è all’altezza. Il servizio è visto come un lavoro poco attraente, magari da fare solo per un periodo di tempo per metter via dei soldi, solo per necessità, quasi mai per vera vocazione. Sicuramente è una professione che richiede sacrifici, si lavora molto e lo si fa mentre gli altri si divertono, non esistono i weekend e le feste comandate. Ma è anche e soprattutto un bel lavoro, richiede bella presenza, una buona cultura di base, la capacità di saper intavolare conversazioni interessanti, di intrattenere l’ospite su argomenti che non sono necessariamente legati al food&wine. È un lavoro che dà la possibilità di vestirsi bene, di incontrare persone d tutto il mondo, di allargare la propria cultura e crescere professionalmente ed è un ruolo importantissimo dentro a un ristorante». 

La magnifica vista dalla terrazza del Signum

La magnifica vista dalla terrazza del Signum

Per cercare di marginare questa emergenza è stata creata nel 2012 l’associazione Noi di Sala, di cui è direttore Marco Reitano, chef sommelier del ristorante La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri di Roma e di cui tu sei delegato della Sicilia Nord Orientale. Come funziona questa associazione, per cosa è nata? In che modo pensa di rimediare alla mancanza di personale qualificato?
«Noi di Sala è la prima associazione italiana che riunisce, con la volontà di fare rete, i professionisti di sala e cantina. Una piattaforma di formazione, scambio, relazione e di confronto per condividere problemi e successi. Punto di forza dell’organizzazione sono gli stessi membri, che lavorano nel campo della ristorazione e ne rappresentano la massima espressione. Siamo prima di tutto una rete di professionisti ma anche un gruppo di amici, colleghi, appassionati del mondo del food&beverage che si rende conto della necessità di creare un bacino più ampio di personale qualificato e quindi punta sulla formazione: per chi volesse intraprendere il percorso del servizio di sala, ma anche per coloro che già lo stessero percorrendo e che sentano la necessità di supporto, aggiornamento e confronto, per venire incontro a una clientela che si è evoluta nel tempo ed è diventata sempre più preparata ed esigente. L’ intento è quello di promuovere e valorizzare l’arte dell’ospitalità e del servizio».

Sei d’accordo se dico che un direttore di un ristorante e responsabile di sala è come un direttore d'orchestra che marca il tempo a un soprano (lo chef) e ne coordina il talento perché venga perfettamente accompagnato ed esaltato dal lavoro del resto dell’orchestra (lo staff di sala) e dal coro (la brigata di cucina)?
«Si, sono d’accordo e mi sembra un’ottima interpretazione».

Luca e Martina Caruso durate una riunione con lo staff (foto di Stefano Butturini)

Luca e Martina Caruso durate una riunione con lo staff (foto di Stefano Butturini)

Hai un’intesa molto bella con tua sorella Martina. L’hai aiutata nella sua crescita professionale? Ti chiedo questo sia in quanto fratello maggiore, sia in quanto direttore del ristorante dove lei lavora. Per esempio, parlate insieme della struttura del menu o della composizione di nuovi piatti?
«Sicuramente c’è un dialogo costante tra me e Martina, sia come fratello e sorella, sia in quanto direttore ed executive chef del ristorante del Signum. Siamo cresciuti assieme, in tutti i sensi. Abbiamo portato avanti questo progetto prendendolo in consegna dai nostri genitori (Michele Caruso si occupava della cucina, Clara Rametta della direzione, ndr). Io ho visto nascere il Signum che, a sua volta, ha visto nascere Martina. Il Signum è la nostra casa, la nostra famiglia, il nostro progetto e i nostri sogni. Io, Martina, il Signum: siamo tutti cresciuti assieme. C’è un dialogo costante, anche delle scornate a volte, è normale. Quello che non manca mai è il confronto: è importantissimo, perché la squadra funzioni, che ci sia un flusso costante di informazioni tra la sala e la cucina. Non solo per segnalare i ritmi e i tempi per l’uscita delle portate. Ogni nuovo piatto viene presentato - non solo a me, a tutto lo staff di sala - e discusso assieme, proprio per essere poi in grado di presentarlo nel giusto modo al cliente. Sono io con la mia squadra a stare in sala e illustrare il menu ai commensali, a spiegare loro l’idea di cucina di Martina: è naturale che lei voglia essere sicura che abbiamo inteso quello quanto vuole dire, da qui la necessità di parlarci, spiegarci, confrontarci. Ancora: chi sente i commenti dei clienti è, di nuovo, la sala. Commenti che servono per avere conferme o, qualche volta, per aggiustare il tiro. Che siano positivi o negativi, i feedback sono preziosi. Io sono gli occhi e le orecchie di Martina in sala. Il fatto che siamo, oltre che colleghi, anche fratello e sorella, ci dà sicuramente una marcia in più perché abbiamo un’intesa speciale».

La cantina che hai costruito in questi anni è una delle più interessanti della Sicilia. Un’attenta e meditata selezione di oltre 1.200 etichette che hanno l’onere e l’onore di accompagnare le proposte di una chef stellata, offrendo una proposta enologica di pari livello. Quale criterio segui nella scelta delle etichette? E nel proporle ai tuoi ospiti/clienti?
«La costruzione di una cantina è un progetto di lungo periodo, in divenire: la wine cellar di oggi è il risultato di un lavoro iniziato 20 anni fa. Adesso, nel fare le mie scelte, penso alla cantina che vorrei avere un domani, non a quella che è oggi. Immagino, tra dieci anni, a cosa ci porteranno le scelte che stiamo facendo e quelle che faremo, con l’impegno costante di seguire il mondo del vino che è in continua evoluzione. Detto questo, sicuramente le scelte rispecchiano anche i mei gusti personali, che evolvono, come evolvono le persone. Tutte le bottiglie sono frutto di una selezione e di scelte fatte nel tempo: mi ricordano momenti, persone e aneddoti. Ci sono momenti di curiosità per i vini biodinamici e naturali e altri momenti in cui si cercano vini eleganti, grandi classici aristocratici. Creare una cantina con vini d’annata implica avere la possibilità e la volontà di tenere fermo nel tempo un investimento. Servono poi degli spazi adeguati per conservare il vino e una clientela che sia disposta a spendere per comprarlo, quel vino. Riguardo ai criteri di selezione e alle specifiche etichette, sono particolarmente legato ad alcuni vini siciliani che custodisco in cantina, quelli che oggi sono considerati i blasoni degli anni ’90. Vini dalla grande stoffa acquisiti un ventennio fa - quando ancora non si pensava che il vino in Sicilia potesse avere così tanto fascino e una tale risposta nel tempo - e che oggi regalano belle emozioni. La considero una scommessa vinta e oggi è una grande soddisfazione per me poter offrire questi vini ai nostri ospiti». 

Luca Caruso ci mostra con orgoglio la preziosa cantina del Signum

Luca Caruso ci mostra con orgoglio la preziosa cantina del Signum

E sulle bollicine?
«Adoro le bollicine e per questo faccio in modo che nella carta del Signum non manchino mai grandi Champagne, piccole maison di Champagne e spumanti d’Italia nelle loro interpretazioni più significative. La Francia è un paese enoico straordinario e in questi ultimi anni sto approfondendo e acquisendo vini eccellenti di cui c’è pochissima disponibilità e assegnazioni bassissime (avviene anche con diverse cantine italiane): la nostra serietà e il lavoro che stiamo facendo diventano allora anche capitale da reinvestire per poter accedere ad etichette molto interessanti, offrendo ai nostri ospiti la possibilità di provare quello che non si trova altrove».

Alcune grandi etichette siciliane al Signum

Alcune grandi etichette siciliane al Signum

Sono scelte anche molto onerose...
«Certo creare una carta dove siano presenti punte d’eccellenza - Super Tuscans, vini piemontesi, della Borgogna o di Bordeaux - è una sfida e ha un costo in termini di investimento che però viene sempre ripagato dai clienti: la spesa media di vino al Signum è in crescita, c’è interesse e disponibilità a pagare per poter assaggiare un vino ricercato. Spesso il cliente del nostro ristorante è anche un ospite dell’hotel, la relazione dura per più di un pasto: si può allora impostare un discorso, il cliente ti segue nelle proposte e tu impari a capirne il gusto per potergli offrire un’esperienza indimenticabile. Devo dire che gli stranieri chiedono soprattutto Sicilia. Può capitare anche di avere a cena esperti ed appassionati, in generale abbiamo a che fare con un pubblico sempre più preparato, che magari viene da noi proprio per la carta dei vini: in questi casi l’esperienza arricchisce anche a me e c’è un bello scambio». 

Luca e Martina Caruso in un momento di relax

Luca e Martina Caruso in un momento di relax

Il rapporto tra Signum e Salina è simbiotico. Vedendovi qui, oggi, è difficile immaginare l’uno senza l’altra. Il Signum è diventato col tempo una vera istituzione nell’isola, contribuisce a crearne la magia e la bellezza (e viceversa), ed è al tempo stesso anche motore della sua crescita.
«È un rapporto molto stretto, non si potrebbe immaginare il Signum in nessun alto luogo che questo. La cosa bella è che si tratta di un arricchimento e amore reciproco, di un prendere e dare. Sicuramente si sente la presenza di Salina in primo luogo nella cucina di Martina. La Sicilia ha un patrimonio eno-gastronomico ricchissimo, all’interno della singola regione c’è un’incredibile miniera di biodiversità. Da eoliani viviamo tutto questo in modo ancora più esasperato: per noi la Sicilia è “terra ferma”, siamo su un’isola, un luogo piccolo, circondato dal mare. Aprirsi all’esterno, viaggiare, conoscere anche quello che c’è fuori è fondamentale. Fin da piccoli, abbiamo avuto la fortuna di poterlo fare, cosa che ci ha permesso di apprezzare ancora di più quello che avevamo qui. Dunque per tornare alla tua domanda, una cosa che Salina regala al Signum: la sua meravigliosa materia prima, in primo luogo. I capperi e la Malvasia, certo, ma anche il suo pescato. Al cambiare dei fondali, cambia la biodiversità: la triglia di scoglio per esempio, non è la stessa di quella di sabbia. E poi ancora gli scorfani, i totani...».

Un piatto di Martina Caruso: Lampuga, straccetti di bufala, finocchietto di mare in conserva piastrato, capperi di Salina canditi, zuppetta di olive verdi e pomodoro

Un piatto di Martina CarusoLampuga, straccetti di bufala, finocchietto di mare in conserva piastrato, capperi di Salina canditi, zuppetta di olive verdi e pomodoro

Avete anche stimolato la crescita di una microeconomia locale...
«Una cosa che mi ha fatto moltissimo piacere è che da bambino, all’inizio della storia del Signum, il pesce arrivava in aliscafo da Lipari: i piccoli pescatori di Salina potevano vendere solo ai privati perché noi avevamo bisogno di fattura. Con la crescita del Signum e del turismo nell’isola, negli anni sono nate delle cooperative che riuniscono questi piccoli pescatori e adesso anche l’anziano pescatore di 70 anni è in grado di venderci il pesce pescato con le sue mani, lungo le coste di Salina, grazie alla creazione di sistemi come questo che fanno crescere il territorio. La ricchezza dell’isola rimane sull’isola, ormai praticamente tutto il pescato che utilizziamo viene da qui, l’attività dei pescatori è diventata di nuovo redditizia tanto che si stanno riavvicinando a questo mestiere anche i giovani. Ecco che il Signum allora non solo attinge (bellezza, materia prima, manodopera) ma aiuta anche l’isola, crea valore, sistema, porta ricchezza. Salina e le Isole Eolie per noi sono un mondo a sé e vogliamo prendercene cura, prestando attenzione in primo luogo alle produzioni locali, sostenendo i produttori anche attraverso la promozione del territorio nel nome di confronto, rispetto e scambio.

A proposito di creare valore e far crescere l’isola: è di tua madre Clara Rametta l’ambizioso progetto di regalare un cinema a Salina: si è svolta pochi mesi fa la raccolta fondi, indetta da te e Martina, per appoggiare quest’idea.
«Sì, mia madre è una sognatrice e pensa sempre in grande. Ultimamente ha spostato le sue energie dal Signum al comune di Malfa, di cui è sindaco da due anni, sempre con l’entusiasmo instancabile e la capacità di visione che la contraddistinguono. Da tempo sognava una sala cinematografica per Salina - nessuna delle isole Eolie è dotata di grande schermo. Un cine auditorio dove possano svolgersi, non solo proiezioni ma anche concerti, mostre, congressi, opere teatrali. Salina ha già una bella offerta culturale: Mare Festival, Salina Festival, Salina Jazz Festival, Festival Organistico sono tutte rassegne riuscitissime e che crescono di anno in anno. L’idea è sia quella di creare un luogo che possa ospitare iniziative come queste, sia di stimolare un’offerta culturale al di fuori dei grandi flussi turistici stagionali. Salina è stata il set di tanti grandi film, e buen retiro di attori e registi famosi. Anche in questo caso: cerchiamo di reinvestire tanta bellezza, di restituire all’isola quello che ci ha regalato, per farla crescere. Il progetto è privato (per abbattere tempi e costi) e per la sua realizzazione si avvale, oltre che di sponsor tecnici, di donazioni. A ottobre abbiamo organizzato una tre giorni per la raccolta fondi (di cui abbiamo parlato quindr), sotto gli slogan di “Il Cinema incontra la Cultura” e “La Cultura è uno spazio da costruire”. Vi hanno partecipato, chef, artisti, produttori di vino e ristoratori. È andata molto bene, ma la strada è ancora lunga e contiamo sull’aiuto di tutti, specialmente di quelli che amano Salina (per chi volesse donare: http://www.palazzomarchetti.it/it/sostieni-il-progetto.html#donazioni).


In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Giovanna Abrami

nata a Milano da madre altoatesina e padre croato cresciuto a Trieste. Ha scritto (tra gli altri per Diario e Agrisole) e tradotto (tra le altre cose: La scienza in cucina di Pellegrino Artusi) per tre anni dall’Argentina dove è tornata da poco, dopo aver vissuto tra Cile, Guatemala e Sicilia. Da Buenos Aires collabora con Identità Golose e 7Canibales

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