Ezio e Renata Santin

Priva di una scuola secolare come quella francese, la cucina italiana è un’erba spontanea germinata da talenti autodidatti negli anfratti più improbabili della geografia nazionale. Radicata nelle stramberie biografiche di singolarità irripetibili come quella di Ezio Santin, sognatore a occhi aperti in quel di Lugagnano, capace di allacciare il grembiule per la prima volta alla tenera età di 39 anni senza alcuna formazione se non il palato allenato del gourmet e la bussola ben registrata del gusto, qualche spezzone di dna in comune con un avo cuoco sulle navi.

Il merito va ascritto in gran parte al deus ex machina Franco Colombani, carismatico patron del Sole di Maleo, capace di inoculare il virus della passione culinaria nelle fila di un’intera generazione di cuochi e ristoratori. “Andavamo da lui un po’ per gola, un po’ per chiacchierare ore ed ore e sviscerare i nostri dubbi, perché oltre a essere un grande sommelier, era uno studioso insuperabile della cucina italiana. Ma col tempo mi sono sfilato da Linea Italia, per giocare un po’ da battitore libero. Non ho fatto stage né corsi, solo un viaggio in Francia per vedere quel che succedeva. A interessarmi era soprattutto la nouvelle cuisine, ma non parlerei come è stato fatto di una costola italiana. Noi non avevamo nessuna accademia cui reagire, non abbiamo mai abusato di grassi e complicazioni varie. Quindi in un certo senso la nouvelle cuisine c’era già, quello che dovevamo fare era solo lasciarla evolvere nel senso dell’estetizzazione e di una creatività misurata”.

Leggerezza, cucina del mercato, tecnica erano comunque punti condivisi con i discepoli di Gault et Millau e con l’amico di una vita Gualtiero Marchesi, forse un po’ più cerebrale e meno istintivo, con il quale la critica volle costruire un antagonismo forzato. Ad accomunarli anche l’amore per l’oriente, di cui Santin fu fra i primi ambasciatori sulle nostre tavole, mutuando ingredienti allora sconosciuti come il pepe di Sichuan. Mentre le tecniche di cottura si erano già evolute autonomamente nel senso della precisione croccante e tecnologica, per esempio attraverso il sottovuoto.

A rendergli omaggio nella sua Cassinetta c’è stato anche Fabio Barbaglini, già suo capopartita. Ma l'avventura si è chiusa presto. Oggi che il ristorante ha un destino incerto, Ezio Santin non perde la speranza che un giorno possa ripercorrere gli antichi splendori. Lo confessa nel bel libro "Un, due, tre... stella", uscito nel 2015 per Mondadori Electa. E' la storia sua e di Renata, la compagna inseparabile di una vita.

 

Classe 1937, Ezio Santin è stato torrefattore di caffè a Corsico, prima di abbracciare la ristorazione a causa di problemi di salute. Nel 1976 ha così rilevato l’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano con la moglie Renata, appassionandosi sempre più alla cucina sull’onda dell’amicizia con Franco Colombani e delle esperienze gastronomiche presso Gualtiero Marchesi e i grandi francesi. L’impronta della nouvelle cuisine, le tecniche aggiornate e le influenze asiatiche gli sono valse le 3 stelle dal 1990 al 1999.

a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini