03-05-2012

50 Best, e i francesi che si...

Non si placano le polemiche dopo la cerimonia di lunedì a Londra, segno del successo dell'evento

Inaki Aizpitarte, chef e patron dello Chateaubrian

Inaki Aizpitarte, chef e patron dello Chateaubriand a Parigi: lo scorso anno, al World's 50 Best Restaurants, fece discutere perché, nono assoluto, risultava il migliore dei francesi. Quest'anno ha stupito di nuovo ma per essere scivolato al 15° posto. La foto è stata scaricata dal sito ufficiale dell'evento

Che bello tornare a scrivere di 50 Best dopo averne lette di ogni, tanti passaggi ispirati e incavolati come se lunedì sera a Londra avessero mostrato le nuove tavole della legge e non l’annuale classifica ai cento migliori ristoranti al mondo, una graduatoria frutto di un gioco che nel tempo è cresciuto di importanza fino a richiamare nella capitale britannica decine e decine di cuochi, ristoratori, fotografi e giornalisti, più i milioni di lettori, forumisti, blogger, golosoni che hanno seguito tutto da casa e oltre ancora, nel tempo, tutti coloro che sceglieranno questo o quel posto perché è nella classifica dei 50 Best. O, se proprio non lo visiteranno per via delle distanze (un appassionato italiano per prenotare alla Francescana o alle Calandre non deve certo attendere i “fiftì best”), di certo lo sogneranno perché al top secondo una giuria composta da un numero ridicolo (ironico) di esperti, poco meno di 900.

Alexandre Gauthier, della Grenouillère a Montreuil, con in mano il premio di Acqua Panna perché One To Wacht, uno da seguire: attualmente 81°, la giuria si aspett

Alexandre Gauthier, della Grenouillère a Montreuil, con in mano il premio di Acqua Panna perché One To Wacht, uno da seguire: attualmente 81°, la giuria si aspett

Zagat a parte, che si avvale dei giudizi inviati dai lettori, credo non esista al mondo un’altra pubblicazione che possa contare su una tale mole di giudici. Tutti pirla, chiederebbe Josè Mourinho? Tutti corrotti e cretini? Tutti pronti a sputtanarsi votando degli incapaci? Per cosa poi? Quasi non sono nemmeno noti i loro nomi, quasi nessuno è invitato a Londra, nessuno è pagato per esprimere, una volta ogni 365 giorni, sette nomi in meno di sette minuti, e allora?

Si parla di lobby, in senso negativo, delle pressioni delle agenzie di pr e degli sponsor, però a simili livelli tutti hanno un agente, tutti vantano collaborazioni più o meno pesanti, tutti possono avere i prodotti “giusti”. Morale: partono alla pari. A me ricorda un po’ il doping nello sport, con i mediocri che si bombano per colmare il gap con i campioni e quest’ultimi che fanno altrettanto per mantenere inalterato il solco e vincere come accadrebbe se fossero tutti puliti.

Piaccia o non piaccia a tutti, il gioco inventato nel 2002 dalla rivista Restaurant Magazine, nel tempo ha intercettato i nuovi gusti dei golosi, con vincitori e vinti. Oltre all’Italia, uscita dimezzata dall’ultima tornata, da sei ad appena tre nei primi 50 (come gli Stati Uniti, ma nei top-10), bocciatura che interessa soprattutto noi italiani, la realtà che fa discutere a mille è quella della Francia, con pesanti accuse tra critici legati a questa o a quella manifestazione, Fooding, Omnivore, Paris des Chefs... Zero ristoranti nei dieci (L’Atelier di Joel Robuchon è 12°, lo Chateaubriand di Inaki Aizpitarte 15°, ben sei posizioni in meno in un anno) e un totale di sette nei 50 (contro gli otto degli Usa).

Mathias Dahlgren, chef al Grand Hotel Stockholm nella capitale svedese, tornato quest'anno a occupare un posto nei 50 Best, il 41°

Mathias Dahlgren, chef al Grand Hotel Stockholm nella capitale svedese, tornato quest'anno a occupare un posto nei 50 Best, il 41°

E’ vero che il metro di giudizio che conta in Francia (e che per un secolo la Francia ha imposto al mondo) è quello della Michelin, però, classifica alla mano, i primi a non avere le idee perfettamente chiare sembrano i 30 giurati del panel francese che, in discesa Pierre Gagnaire (abituato alla zona podio, si ritrova 17°), non riescono a trovare un campione su cui puntare con decisione perché corra alla pari con Redzepi e Andoni, Atala e i Roca, Bottura e gli americani vecchi (Thomas Keller) e nuovi (Grant Achatz e Daniel Humm, uno svizzero trapiantato a Manhattan). Di certo però non amano Alain Ducasse e la grandeur che lui – e tanti tre stelle con lui – incarna, ben lontana dalla visione “ferran-adriana” della cucina contemporanea.

Lo scorso anno gli starchefs transalpini, inviperiti dal loro nulla e dal vedere Inaki davanti, nono assoluto, avrebbero ricordato agli organizzatori (e alla S.Pellegrino) quanto pesi economicamente il loro firmamento stellare. Vero o falso che sia, non è che ora, dove c’era l’ottone brilli l’oro. E per di più Inaki è scivolato all’indietro quando diversi si aspettavano l’esatto contrario. Se c’era una regia in tutto questo, dev’essere andata persa qualche pagina.

2. continua


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Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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