Jordi, Josep e Joan Roca

Celler de Can Roca

Taialà, 40
Girona
Spagna
T. +34.972.222157
info@cellercanroca.com

Autentici fuoriclasse: ogni piatto che arriva sulle tavole del Celler sbatte in faccia al cliente un vento di futuro. Qualcosa di glaciale, lucido, tagliente; un contropelo scomodo in cui il presente germoglia dal domani. E dire che per i fratelli Roca la ristorazione è un affare di famiglia: era il 1920 quando i nonni Joan e Angeleta aprirono la loro fonda a San Martì de Llémena, il 1967 quando i genitori Josep e Montserrat inaugurarono a Girona il Can Roca.

Cresciuto con il naso nelle casseruole, fra i fumi inebrianti della cucina catalana, il primogenito Joan a 11 anni decide: sarò cuoco. Segue l’alberghiero di rito, fondamento di una cucina proiettata in altezza, col puntello di stage al fianco di Georges Blanc, Santi Santamaria e soprattutto Ferran Adrià, maestro assoluto a cominciare dalle tecniche. Nel frattempo i fratellini non cincischiano: Josep studia da sommelier (è oggi celebre la sua carta dei vini in 3 volumi, portata al tavolo su un apposito carrello), mentre il giovane Jordi si prodiga nei palleggi di pasticceria con il virtuosismo di un Maradona dello zucchero. Portato a braccia da cotanto trio, il Celler apre i battenti nel 1986, accanto allo spartano locale di famiglia. Una conchiglia minimalista per una cucina che fa a gara in sottrazione, prendendo forma tecnica dopo tecnica fino a posizionarsi fra i primi ristoranti al mondo.

E sono presto due stelle, che poi diventano tre nel 2010, col primo posto assoluto nella classifica dei 50 Best nel 2013. I tre fratellini sono laconici come le loro ricette, vettori di sensazioni introflesse che puntano al cuore passando per l’olfatto (in ossequio alle ultime scoperte della psicologia). Ed ecco paesaggi commestibili, distillati delle sostanze più improbabili, roulette russe fatte di terra da mangiare, fumi calibrati che condiscono il piatto, un’enigmistica gastronomica varia a base di profumi brevettati ed etichette cult: funambolismi che progrediscono sul filo dei prodotti e delle tecniche di cottura, a cominciare dal sottovuoto, tema di un’opera fondamentale.

Di muri in piedi non ne restano più, al confine del commestibile come sul versante della psiche. Immaginifica, avanguardistica: tecno-emozionale, così la penna calzante del grande critico Pau Arenos ha definito la cucina del Celler, cogliendone gli elementi di perigliosa chirurgia dei precordi. Mentre le basi classiche contribuiscono a uno scavo oltranzista verso l’essenza della simplicitas. E a che solleva la forchetta direi: benvenuto nel domani.

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina. Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini