11-02-2014

Oltre i confini del grano duro

Con la quinta Identità di pasta sono saliti in cattedra grandi cuochi. Non solo italiani

Josean Alija, chef del ristorante Nerua del Guggen

Josean Alija, chef del ristorante Nerua del Guggenheim di Bilbao nei Paesi Baschi. E' stato uno dei relatori più convincenti nella quinta edizione di Identità di Pasta, in collaborazione con Felicetti, un excursus che per la prima volta ha previsto anche interpretazioni di protagonisti non solo italiani (foto Brambilla-Serrani)

La Quinta della Decima per i primi. Non è un delirio aritmetico ma l’edizione numero 5 di Identità di Pasta all’interno della prima edizione a due cifre del più nobile congresso italiano di cucina, Identità Golose. La collaborazione con il pastificio trentino Felicetti intende a valorizzare le paste secche, solitamente considerate non abbastanza nobili per la ristorazione di alto bordo. La maratona di carboidrati della sala Blu 1 ce ne darà conferma. Apre la prima sessione, guidata da Eleonora Cozzella, Mauro Uliassi: dalla sua Senigallia reca una raffica di piatti in sospeso tra mare e terra, nei quali prende corpo quella che chiama la koinè adriatica.

Mauro Uliassi, pasta secca sull'Adriatico

Mauro Uliassi, pasta secca sull'Adriatico

Si parte con una Zuppa di patate affumicate con pesce arrostito , si prosegue con le Linguine Antonio Mattei, ricordo di uno scomparso compagno di un viaggio in Polinesia dalla cui memoria emergono il lime e il cocco, e dopo alcune tappe si approda a un virtuosistico Mezzo rigatone con alici salate, tartufo nero e ciauscolo. Pasta umamista è quella di Yasuhiro Sasajima, del Ghiottone, ristorante italiano di Kyoto, convinto che la nostra cucina e quella giapponese abbiano più cose in comune di quanto faccia sospettare la fisiognomica. Al punto da volere infiltrare il cosiddetto quinto gusto, l’Umami, tra un rigatone e un fusillo. Ci riesce con i maccheroncini corti, che bolle in un brodo di pollo e alghe, riempie di un mix di pollo tritato, scalogno ed erba cipollina, passa in padella porro fritto e impiatta con una crema di porro e pollo (a noi spiritosoni viene in mente che in italiano un giapponese non farà differenza tra i due ingredienti) e uovo cotto in acqua termale (mai provato invidia per qualcosa che esce dal culo di una gallina?).

Dopo simile ardimento fa piacere rimpannucciarsi nelle ricette tradizionali di Enrico Bartolini di Devero di Cavenago di Brianza. Ma non rilassiamoci troppo: le performance di Enrico sono spiazzanti: l’Ajo e ojo diventa un biscotto, la Carbonara è l’inquilina di un uovo, il Pomodoro e basilico abdica addirittura alla pastitudine prendendo solo l’amido di uno spaghetto stracotto. Un link alle origini toscane di Bartolini con i Bottoni di lime con cacciucco e un tocco affumicato con lo Spaghetto all’anguilla che chiude la sessione mattutina. Si riprende con Josean Alija, chef di Nerua Guggenheim a Bilbao, che ci fa vedere la pasta2.0, che slabbra i confini tra generi in un cross over vertiginoso, vietato alle zie alle nonne. Della pasta egli ricerca l’essenza, ovvero il sapore del grano. Le Caserecce con peperone di Anglet e baccalà presenta un gioco di complessità dall’apparenza visiva ingannevolmente semplice, mentre gli incarnano forse la più scandalosa versione dello standard della Carbonara.

Enrico Bartolini, creatività made in Devero

Enrico Bartolini, creatività made in Devero

Pasta made in Sannio quella di Giuseppe Iannotti di Kresios a Telese Terme. Terra bellissima e dolente, talmente lontana dall’alta gastronomia che una signora, come Giuseppe racconta, ha fatto 25 km per andare al ristorante e chiedere di vedere (sì, vedere) la prima stella Michelin sannita. E senza telescopio. Siccome la pasta è anche un primo, Iannotti fa della pasta un antipasto Seventies (Conchiglie panna e salmone, ove nulla è come sembra) e anche un dessert, il Cannolo di tagliolino con chips di mela annurca e schiuma di liquore Strega. Nuda è la pasta di Davide Scabin di Combal.zero a Rivoli, nel Torinese. Nuda perché servita separata dal condimento. Tra i giochi che si concede l’istrionico chef piemontese, reso sfrenato dall’assenza di una tradizione regionale della pasta secca, la Pasta con insalata servita con bacchette orientali perché la minore dimestichezza con lo strumento costringe a focalizzarsi di più sulla materia e il conchiglione-nacho da pucciare in una bagnacauda. Infine una pasta-pongo, modellata e fritta come un Sofficino o un arancino. Divertissement a tutto campo.

Di alta quota la pasta di Norbert Niederkofler del St. Hubertus di San Cassiano in Alta Badia, che ci seduce con delle Linguine di kamut al ragù di vitello con ricotta affumicata, chips di latte, funghi e un’emulsione di erbe cipolline e prezzemolo e l’ennesima citazione della Carbonara, ovviamente di montagna, con lo speck che sostituisce il guanciale e il Graukese che subentra al pecorino. Chiude la serata e tutta la kermesse Antonia Klugmann di Venissa sull’isola veneziana di Mazzorbo, che propone la visione lagunare della pasta. Antonia è un quasi avvocato e velista, patita dei prodotti dell’orto e dell’amido, di come cioè questo varia nel corso della cottura. Da questo insieme di stimoli arriva lo Spaghettone con castagne tostate e bollite, crescione d’acqua, il burro di Isigny e un mix di spezie. E ora: buttate la pasta!


Monograno Felicetti

a cura di

Andrea Cuomo

Romano ma ora a Milano, sommelier, è inviato del quotidiano Il Giornale. Racconta da anni i sapori che incontra