05-03-2015

Fenomeno Burns

Il gelato, il test delle zuppe, il sogno di tornare in Europa. Due chiacchiere con il cuoco di Luksus

Daniel Burns, chef canadese 39enne del ristorante

Daniel Burns, chef canadese 39enne del ristorante Luksus at Thorst, un bistrot di 26 coperti inserito in una birreria a Greenpoint, Brooklyn, New York, una stella Michelin senza tenere nemmeno un vino in carta. "Perché proprio la birra?", ha spiegato a lezione a Identità Milano, "perché no?" (foto Brambilla/Serrani)

Occorreva il dono dell’ubiquità, si è detto spesso, per poter apprezzare i contenuti di ognuno degli 86 relatori dell’undicesima edizione di Identità Milano. Per tanti che ci siamo persi, ce n’è uno che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare da vicino. Il canadese Daniel Burns era nel format di Identità Estreme per una particolarità che chi legge probabilmente saprà a memoria: il suo Luksus a Brooklyn è il primo ristorante al mondo ad aver ottenuto una stella Michelin senza tenere nemmeno un vino in carta. Solo birre.

Ma Burns non è “estremo” solo per questo o per l’incredibile curriculum che gli ha consentito di sbancare New York – è stato pasticciere al fianco di Heston Blumenthal, Renè Redzepi e a capo del test kitchen del Momofuku di un certo David Chang, cioè 3 dei più grandi cuochi al mondo degli ultimi 15 anni. È una generatore di idee brillanti e progetti particolari. Ce l’ha confermato in queste poche battute scambiate a congresso finito.

A Milano hai sostenuto che l’alta ristorazione è destinata a modelli più semplici. Cosa intendevi esattamente?
Mi riferivo al trend dei cuochi che aprono ristoranti di ‘fine dining’. Sono sempre meno interessati a fare le cose in grande, alla vecchia maniera: pensano sempre meno (se non per niente) alle tovaglie curate, alla biancheria e ai calici di pregio perché preferiscono concentrarsi sugli ingredienti. E a rendere il locale gradevole e comodo, non più serioso o imponente.

Capesante, funghi maitake e olivagno, piatto presentato a Identità Milano

Capesante, funghi maitake e olivagno, piatto presentato a Identità Milano

Hai anche detto che un buon ristorante si giudica da come fa le zuppe. Un’affermazione interessante.
Fare una zuppa è semplice. Ma farla buona no perché dev’essere equilibrata e ben bilanciata nel rapporto tra le verdure e la carne. La quale dev’essere cucinata al punto giusto, di consistenza corretta e generalmente buona. È un test che dice se un cuoco sa cucinare oppure no. Noi teniamo sempre dei ‘brodi’ in menu. Di solito sono zuppe chiare, ben definite e sostenute da stratificazioni complesse di sapori.

Negli abbinamenti tra cibo e birra, seguite delle regole di base? Chi ha l’ultima parola, tu o il beer sommelier?
Succede che, quando il piatto è quasi terminato nella concezione e i suoi sapori sono definiti, mando un’email al responsabile della birra. Da qui parte una discussione interna su quali potrebbe essere il match più adatto. Poi proviamo 4-6 birre in accompagnamento al piatto concepito. Di solito c’è sempre un chiaro vincitore. E comunque sì, il giudizio finale è il mio.

Dicevi anche di essere appassionato di gelato. Da dove nasce la passione? E come immagini di svilupparla in futuro?
Ho avuto a che fare coi primi gelati quando lavoravo al Fat Duck, vicino a Londra. Ne preparavamo fino a 14 a pranzo e 10 a cena. Quella della produzione del gelato era una sezione a parte. Mi ha fatto capire quanto può essere fantastico questo prodotto. Da allora, lo amo incondizionatamente. Poi, al Noma ho sviluppato le mie idee su come dev’essere di consistenza e al palato. Un giorno aprirò una gelateria che includerà nell’esperienza anche tecniche di pasticceria.

Fiero di stare coi grandi

Fiero di stare coi grandi

Pensi che il gelato si possa impiegare in ogni pietanza di un menu, anche prima di un dessert?
Il gelato salato funziona ma dovrebbe essere utilizzato in quantità ridotte. Dev’essere molto ben equilibrato, lavorare bene con gli altri ingredienti perché tende a scioglersi e quindi il cuoco dev’essere certo che un elemento freddo abbia senso all’inizio o al centro della progressione dei piatti.

Credi che il modello Luksus possa funzionare in Europa?
Sì, a Copenhagen, Parigi o Londra sì...

Te lo chiedo perché a lezione hai detto che non vorresti passare tutta la vita negli Stati Uniti. Torneresti volentieri nel Vecchio Continente?
Amo l’Europa, in particolare in Gran Bretagna e Danimarca. Avessi la giusta opportunità tornerei al volo.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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