10-09-2014
Quattro degli esemplari in concorso domenica scorsa alla settima edizione del Danish Hot Dog Championship, all'interno del Food Festival di Aarhus, la seconda città più importante di Danimarca. Il contest ha messo a confronto i prodotti di 8 venditori tradizionali e le versioni creative di 16 chef importanti, tra cui Paul Cunningham e Henrik Yde, già relatori a Identità Milano. Una case history da studiare
Le cronache gastronomiche danesi registrano l’apertura del primo chiosco ambulante di hot dog a Copenaghen nel 1918. Ma la gente non lo chiama ancora così. Ordina del “pane con salsiccia”, lasciando agli americani la bizzarra assonanza tra il würstel e il genere canino. Popolarità e diffusione ascendono al picco negli anni Settanta, quando le autorità del piccolo paese nordico censiscono circa 400 mezzi. Ognuno è autorizzato a infilare il salsicciotto caldo nella feritoia di un panino oblungo oliato da senape, ketchup o maionese. Un traffico febbrile di mezzi fumanti a ruote, inseguiti da orde di educati operai e impiegati, smaniosi di dare un senso alla pausa pranzo.
Il Food Festival di Aarhus ha registrato 27mila presenze nel fine settimana. Tra gli stand, tanti marchi di birra artigianale, chioschi di gelato all'azoto liquido, distillatori di mele, interpreti di smørrebrød e produttori di delizioso formaggio Unika Dagli anni Ottanta in poi, comincia il lento declino. L’hot dog è penalizzato dalla crescente concorrenza di fast food e di sushi bar. E dal fulmineo sorpasso a sinistra dello smørrebrød (per la pronuncia clicca il piccolo megafono a questo link), il pane di segale imburrato che può reggere a vassoio pesce, carne e/o verdura. È l’irruzione del vero working class hero di Danimarca, il sandwich aperto che, nella medesima preparazione, accorda il lavoro dei pescatori, quello dei contadini e i gusti della borghesia cittadina. A dirla onestamente tutta, occorre precisare che hamburger, sashimi e smørrebrød hanno gioco facile a sfidare un prodotto che si è squalificato via via da solo perché la qualità dell’hot dog è in tanti casi infima, scemata (o mai migliorata) nei decenni. «Piuttosto che mangiarli», ebbe a lamentarsi il critico gastronomico locale Ole Troelsø, «preferisco fare la fame».
Il Food Festival di Aarhus ha registrato 27mila presenze nel fine settimana. Tra gli stand, tanti marchi di birra artigianale, chioschi di gelato all'azoto liquido, distillatori di mele, interpreti di smørrebrød e produttori di delizioso formaggio Unika
«Peccato, però», aggiunse lo studioso, «che un simbolo storicamente così importante per la nostra gente sia finito tanto ai margini». Che tanti venditori abbiano deciso di parcheggiare per sempre il carrettino in garage, senza nemmeno provare a imboccare nuove strade. Per sensibilizzare nuovamente l’interesse dei concittadini per il cane caldo, nel 2008 s’inventa la prima edizione del Danish Hot Dog Championship. L’ultima, la settima, ha avuto luogo pochi giorni fa al Food Festival di Aarhus, primo porto e seconda città più popolosa del Paese (poco più di 300mila abitanti). Un borgo universitario vivace (più che altro al sabato sera) nella regione dello Jutland, a 3 ore di treno da Copenaghen.
GOLIARDICO. A destra, lo chef Paul Cuninngham, chef inglese dell'Henne Kirkebi Kro a Henne
L'hot dog più venduto? Quello di Rasmus Munk del Tree-top di Vejle
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt