08-08-2014

Così parlo chef Alois

Vanlangenaeker si racconta. Dai fasti di Don Alfonso al presente del San Pietro di Positano

Alois Vanlangenaeker, classe 1966, chef belga dei

Alois Vanlangenaeker, classe 1966, chef belga dei ristoranti Zass e Carlino del San Pietro hotel di Positano (Salerno). Prima dell'esperienza in Costiera Amalfitana, il cuoco è stato responsabile di cucina del Don Alfonso di Sant'Agata sui Due Golfi per 8 anni (1992-2000), guadagnando la terza stella nel 1997, poi persa nel 2001

Non che a stare seduti davanti a un piatto di spaghetti conditi coi ricci e il frusciare del mare, la leggera brezza che scontorna i faraglioni di Capri e Li Galli a ore 2 ti venga voglia d’alzarti da tavola. Ma ci si ridà volentieri un contegno per cavalcare la linea verticale che separa il ristorante Carlino a riva dal complesso principale dell’hotel San Pietro, 88 metri più sopra. Se poi l’ascensore del transito non fosse scavato dentro la roccia ma aprisse gli occhi sullo scenografico anfiteatro di orti terrazzati che congiungono i due livelli, dimenticheresti del tutto cosa stai lasciando. E tuttavia l’oblio giunge appena dopo, seduti a tavola sulla terrazza dello Zass, il ristorante-ammiraglia, ricavato su una terrazza che ogni giorno si sveglia col saluto delle case azzeccate a Positano, un paio di chilometri di mare in lontananza.

È dal 2003 il regno del belga Alois Vanlangenaeker, un cuoco che mette d’accordo critica e pubblico, le due linee parallele che in Italia s’incontrano solo all’infinito. Un cuoco molto riservato, così discreto che sono in pochi a riconoscergli un merito: aver condotto alle 3 stelle il Don Alfonso di Sant’Agata dei due Golfi, unico ristorante nella storia della Campania a brillare per un certo periodo del massimo riconoscimento.

Buongiorno chef, cosa la condusse in Italia nel 1992?
Il mio primo maestro belga, Roger Souvereyns, un grande cuoco (già due stelle allo Scholteshof di Stevoort, ndr). Veniva in vacanza sempre in Penisola e mi incoraggiò a fare un’esperienza qui. Da lui ho appreso una lezione fondamentale: essere duri in cucina. È inevitabile. Se un ragazzo si presenta in ritardo o con la barba di un giorno occorre strillare. La prima volta ci rimarrà male; la seconda non lo rifarà.

Il Carlino, il ristorante a pel d'acqua dell'hotel San Pietro. Il nome si deve al fondatore della struttura, Carlino Cinque, nonno dell'attuale proprietario Vito Cinque

Il Carlino, il ristorante a pel d'acqua dell'hotel San Pietro. Il nome si deve al fondatore della struttura, Carlino Cinque, nonno dell'attuale proprietario Vito Cinque

Lezione applicata subito al Don Alfonso.
Entrai come responsabile di cucina nel 1992 e vi rimasi fino al 2000. Anni indimenticabili. Concepimmo grandi piatti come il Vesuvio di Rigatoni, la Mousse di tonno, il Concerto di limoni. Arrivò la terza stella nel 1997. Una grande gioia.

Le stelle tornarono due nel novembre del 2001.
Sì purtroppo. Alfonso Iaccarino non mi perdonò di essere andato via. Ci rimasi molto male perché per me era come un padre. Credo ce l’abbia ancora con me. Ma non è una guerra che ho alimentato io. Io sono un tipo tranquillo, che pensa a fare il suo.

Dove andò dopo?
In Giappone, da Mikuni a Tokyo. Un’esperienza fantastica. C’erano pochissimi cuochi italiani di valore, forse solo l’Enoteca Pinchiorri. Dopo mi trasferii per 2 anni e mezzo a La Pinède di Saint Tropez. Volevano che rimanessi. Ma era una vita troppo veloce e perversa per come sono fatto io. Nel 2003 incontrai Vito Cinque, mi chiese di venire a lavorare per una stagione per cambiare la ristorazione del San Pietro, accettai di tornare e 11 anni dopo sono ancora qui.

La stella era già una e tale è rimasta fino a oggi. Se ne fa un cruccio?
No, certo. È una scelta. La proprietà sa bene come la penso: meglio avere un ristorante con una stella pieno tutti i santi giorni che uno con due stelle pieno per metà o per un terzo. Noi facciamo quasi tutte le sere della stagione 120 coperti. Non abbiamo timore a spalmare i clienti su 3 turni: 17.30, 20 e 22.30. In Francia nessuno si scandalizza per questo, qua sì. C’è la brutta abitudine di criticare i francesi ma poi alla fine facciamo come loro, se non peggio.

Con Andrea Zana, hotel operations manager del San Pietro, sugli orti terrazzati dell'hotel

Con Andrea Zana, hotel operations manager del San Pietro, sugli orti terrazzati dell'hotel

È molto attento alla spesa?
È fondamentale esserlo: i frigoriferi devono essere vuoti alla fine del martedì e del venerdì. Non basta cucinare bene ma occorre smaltire tutto. Un’azienda non vive di sola gloria. Noi lottiamo ogni giorno per dare ai clienti del Carlino e dello Zass piatti diversi, cercando di mantenere il foodcost attorno al 32%. Tutto quello che compriamo e buttiamo viene registrato. Se i gamberi la sera prima non vanno, il giorno dopo li recuperiamo nel cocktail con l’avocado. Facciamo girare tutto. È il nostro segreto.

Giornate impegnative.
Sette mesi di pura apnea, direi. All’alba vado al mercato delle verdure di Piano di Sorrento, poi a quello del pesce. Alle 7.30 dò una mano a sfilettare il pesce, servizio a pranzo, torno a casa qua vicino alle 16, un’oretta di riposo e torno al San Pietro fino al dopo cena. La domenica riposo: leggo libri, faccio foto, dipingo la ceramica.

E fuori stagione?
Vado lontano, se posso. L’estate scorsa ho cucinato per due mesi su una nave da crociera partita da Istanbul e passata per Tokyo, le Hawaii, le Fiji e le Samoa, fino a Auckland. Aggiornarsi nel mondo è fondamentale per me.

Esperienze che trasferisce al San Pietro?
Sì certo. Io amo cucinare piatti che piacciono prima di tutto a me. Tanti colleghi preparano cose che non appartengono loro come cultura, pietanze che loro per primi non mangeranno mai. Io no. Anche se poi, certo, se un cliente mi chiede una cotoletta alla milanese io gliela faccio senza problemi.

La terrazza del ristorante Zass, 1 stella Michelin dal 2002

La terrazza del ristorante Zass, 1 stella Michelin dal 2002

Quale piatto le ha dato più soddisfazione in questi anni?
Nei due menu i piatti girano a ritmo vorticoso. Ma l’Insalata di verdure è un piatto talmente semplice e apprezzato che non lo tolgo mai dalla carta. Sono 14 vegetali che esprimono tutto quel che di buono cresce qua attorno: biete rosse, rapa, carote, zucchine verdi e gialle, cavolfiori, broccoli, finocchi, radicchio, indivia belga, insalata iceberg…

Si dice che i cuochi in Costiera abbiano la benedezione/maledizione di disporre di ingredienti così buoni che è sufficiente assecondarli, cucinarli appena.
Sì ma questa è spesso una scusa cui ricorrono cuochi dalle doti relative. Perché anche solo esprimere tutti i sapori di un’alice non è mica cosa facile. Bastano un paio giorni in frigo o un paio di secondi di cottura in più che l’hai già rovinata.

Dicono anche che il panorama è così bello che cucinare bene è superfluo.
Poteva essere vero un tempo ma oggi il cliente è informato. Non puoi più spacciare uno scorfano per un dentice. Non li freghi più. Un cuoco deve portarsi dietro un bagaglio immenso e costantemente aggiornato, una regola che tutti in Costiera dovrebbero recepire meglio: è vero che la gente continua a venire, ma il turismo è un'arte in divenire continuo. Troppe cose sono ferme perché la gente continua a venire. Ma non può durare per sempre.

Dove si vede tra 10 anni?
Ah, chi lo sa. Certo ora la qualità della mia vita è altissima. Tutte le mattine apro la finestra e vedo Positano. Poi vado in Vespa verso Sorrento e penso ‘ah che roba’. C’è gente che viene da tutto il mondo per fare lo stesso solo per qualche giorno. Cosa posso chiedere di più? Nulla. Vorrei però che il momento in cui decidessi di lasciare ognuno dei miei cuochi di cucina potesse pensare: ‘ho lavorato con chef Alois e almeno una cosa l'ho imparata’.


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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