01-04-2012

Marchesi, il maestro sempre allievo

L'insegnamento e il rapporto con gli chef di oggi. Un'intervista al grande cuoco (prima parte)

Gualtiero Marchesi nella cucina del ristorante om

Gualtiero Marchesi nella cucina del ristorante omonimo di Erbusco in Franciacorta, Brescia, aperto nel 1992 all'interno del complesso dell'Albereta. Nato a Milano da una famiglia di ristoratori pavesi il 19 marzo 1930, il padre della nuova cucina italiana gestisce anche il Marchesino in piazza Scala a Milano, è rettore di Alma a Colorno, Scuola internazionale di cucina italiana e presiede la Fondazione Marchesi (foto Zanatta)

Nell’era dell’approssimazione semantica e del vizio di inventare eroi per distanziarsi dai cattivi esempi che dilagano, un bel «genio» o «maestro» non si nega a nessuno. Come il dottore o professore degli anni Ottanta e Novanta. «Geniale!», trovi nei commenti in calce a qualsiasi foto che va un attimo oltre gli stanchi ritratti delle cose. «Quello è un maestro», leggiamo di persone che eseguono bene il mestiere senza averlo mai trasmesso a un solo allievo.

Di sicuro Gualtiero Marchesi, 82 anni compiuti il 19 marzo, è un genio e un maestro. Genio non a casaccio ma in senso rinascimentale: è a suo agio con i saperi più diversi. Gli chiedi di Ferran Adrià e ribatte coi principi dell'estetica di Pablo Picasso. Lo incalzi sull’interpretazione di un piatto e rispolvera l’ermeneutica dei classici del violinista Nathan Milstein. Una domanda sull’anatra al torchio diventa invece il cavallo di troia oltre le porte del museo/ristorante di Erbusco in Franciacorta grondante capolavori nel piatto, sulla tavola e alle pareti (ci torneremo nella seconda parte dell’intervista). Rievocazioni totali e coerenti con 3 fattori: il semplice, il buono e il bello. Gli addendi di quella che un tempo definiva cucina totale, «tre elementi che devono rincorrersi nel piatto, così come accade nella musica e nell’arte», spiega. Ma è il secondo appellativo quello su cui intendiamo concentrarci ora.

Lei è il Maestro per antonomasia. Si sente davvero tale?
Direi di sì perché mi è sempre piaciuto spiegare le cose mentre le faccio. Ma non gongolo quando mi chiamano così. Anche perché mi sento soprattutto un allievo che vuole continuare a sapere, ho l'impulso a fare domande, a ogni costo. Rimanere allievo è il segreto di ogni maestro.

Ama insegnare ai giovani?
Sì, anche ai giovanissimi. Tanto che se mi chiedessero di fare un Masterchef per bambini, accetterei: prima li appassionerei e poi insegnerei loro le regole. Il problema in Italia è che occorrerebbe insegnare a insegnare. Perché tanti si improvvisano docenti, senza avere la minima idea di come procede la didattica.

Riconosce altri maestri della cucina italiana?
Sicuramente il pasticcere Iginio Massari. Mi sento in imbarazzo solo davanti a lui: a soli 20 anni reggeva un intero stabilimento. Un altro maestro è l’enologo altoatesino Giorgio Grai.

Gualtiero Marchesi e Pierre Troisgros in un curioso scatto di Identità Milano 2007, quando i due cuochi si reincontrarono 40 anni dopo Roanne. La posa allude alla testata che il francese Zidane affibbiò a

Gualtiero Marchesi e Pierre Troisgros in un curioso scatto di Identità Milano 2007, quando i due cuochi si reincontrarono 40 anni dopo Roanne. La posa allude alla testata che il francese Zidane affibbiò a

E il suo primo maestro?
Jean-Baptiste e i suoi figli Jean e Pierre Troigros. Alludo al mio apprendistato a Roanne, ai confini della Borgogna, quando imparai il significato di tecnica: come incide lo spessore di una padella di rame sulla cottura di un alimento, l’intensità del fuoco, il tempo di esposizione (la storia è raccontata benissimo in "Marchesi si Nasce", Rizzoli, ndr). Quanto burro ho visto bruciare nelle mie cucine di Milano ed Erbusco. Succede perché tanti cuochi ignorano anche le regole più elementari.

Quindi la cucina è una scienza precisa?
Sì, dico sempre che ogni cuoco dovrebbe iniziare dalla pasticceria per apprendere tempi e temperature. La precisione, la tecnica pura. Dopo, e solo dopo, se avrà talento potrà trasformare la scienza in arte.

Quasi tutti i cuochi italiani di cui si parla oggi sono stati suoi allievi, da Cracco a Berton. Si dice però che lei abbia un debole per Paolo Lopriore.
(A questo punto Marchesi si alza a recuperare e a leggerci ad alta voce uno splendido scambio epistolare intercorso tra il cuoco comasco e la figlia Paola Marchesi, artista e un tempo collega proprio di Lopriore in cucina a Erbusco. Nel gennaio scorso Paolo e Paola hanno virtualmente duettato a Paris Des Chef, ndr)
Quando c’è intesa si fanno sempre belle cose assieme. Quand'era qui insegnavo a Lopriore e provavamo assieme. La seconda o terza volta imparava e da qui iniziava a migliorarsi. Ricordo una sua interpretazione magnifica dei vari tagli dell’agnello a un’edizione del Bocuse d’Or. La nostra creatività collimava. Ogni tanto penso che avrebbe ancora bisogno di stare con me perché lui è un euforico, mentre io sono più equilibrato.

Lopriore è autore di una cucina molto personale, come quella di Enrico Crippa, un altro suo allievo illustre.
È indubbiamente molto bravo. Lo trovo però un po’ freddo.

Davide Oldani?
Un ragazzo sveglio, che forse carica un po’ troppo di sapori la sua cucina, retaggio francese. Mi cita di continuo. Credo che i tempi siano maturi perché si emancipi dai maestri.

Anche Pietro Leemann è stato suo allievo.
Lui veniva da un’esperienza non bellissima, mi pare, con Fredy Girardet a Crissier in Svizzera. Una persona colta. Avevamo un bel rapporto. Lo stesso con Alfio Ghezzi, altra persona di spessore con cui ho lavorato bene al Majestic Barrière di Cannes e all’Hostaria dell’Orso di Roma.

Una donna di cui si parla poco, Paola Budel.
Molto in gamba. È straordinario che abbia resistito così tanti anni (3, ndr), come chef al Principe di Savoia di Milano, un ambiente difficile.

Al suo Marchesino oggi c’è Daniel Canzian.
È bravo ed è trevisano. Sono sempre più orientato alla cucina veneta, espressione di un microclima e di ingredienti dolci. L'abc perfetto del mio percorso verso la purezza (ne parleremo nella seconda parte, ndr). Pepe e sale, utilizzatissimi nel centro Italia, sono invece una minaccia per la pressione arteriosa.

Anche Massimo Spigaroli si definisce marchesiano.
Un altro grande cultore del prodotto. Ma non è stato mio allievo.

Lui dice di sì.
Ah sì? (sorride)

Gualtiero Marchesi e Paolo Lopriore in uno scatto recente. L'allievo prediletto cucinò affianco al Maestro nella prima metà degli anni Novanta

Gualtiero Marchesi e Paolo Lopriore in uno scatto recente. L'allievo prediletto cucinò affianco al Maestro nella prima metà degli anni Novanta

In Italia e nel mondo è il momento di Massimo Bottura, che però non ha mai cucinato con lei.
Non capisco molto la sua cucina. La materia prima non va stravolta, non ha bisogno di niente. Bisogna prima di tutto comprare dei piselli buoni, e poi non fare cose strane perché spesso il buono basta a se stesso.

Abbiamo dimenticato diversi discepoli. Ce n'è qualcuno che ricorda con piacere?
II marchigiano Vincenzo Cammerucci, una persona stupenda. Il bergamasco Antonio Ghilardi, un altro in gambissima. Poi Stefano Gariboldi, direttore di Peck al piano di sopra, un fenomeno, un ragazzo splendido. E Riccardo Ferrero, chef del Cambio a Torino. Mi sovviene anche Andrea Canton, bravissimo ma l’ho perso un po’ di vista. Da quelle parti cucina anche Alessandro Breda del Gellius di Oderzo, una persona amabile che fa un’anatra al torchio fantastica, in versione più moderna.

Mi pare che lei non faccia distinzioni tra cuochi e persone.
Sì, perché è impossibile che una cattiva persona cucini piatti buoni.

(1. continua)


Zanattamente buono

Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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