29-01-2018

La quieta rivoluzione di Amber

Ci si ferma per cambiare tutto nell’indirizzo di culto di Hong Kong. Lo chef Richard Ekkebus è pronto a nuove sfide

Amber nel 2018 chiuderà. Per rinnovarsi completam

Amber nel 2018 chiuderà. Per rinnovarsi completamente. Lo chef Richard Ekkebus è sicuro che i suoi clienti lo seguiranno. Gli stessi che all’inizio non lo hanno capito, ma che ora vanno in pellegrinaggio per assaggiare i piatti che lo hanno reso famoso

Ci sono ristoranti che a un certo punto, per la loro cucina, per il loro chef, per quello che hanno rappresentato nel luogo in cui si trovano, diventano mete di pellegrinaggio. Un flusso laico di appassionati gourmand che fa il giro del mondo pur di raggiungerli, sedersi al tavolo e assaggiare con devozione i piatti che lo hanno reso famoso. Questo è Amber, al settimo piano dell’hotel The Landmark del gruppo Mandarin Oriental, nel cuore dell’isola di Hong Kong.

Tra gli indirizzi più famosi d’Asia, dal 2005 è nelle capaci mani di Richard Ekkebus, olandese di nascita ma belga d’adozione (per via della nonna) guida una squadra di 28 persone e propone una cucina francese in menù, ma tanti ingredienti e influenze asiatiche nella presentazione e nella filosofia. Amber ha due stelle Michelin (la terza fa capolino regolarmente ma ancora non ha trovato la strada) ed è in ascesa, al 24° posto della lista World’s 50 Best Restaurants e al n° 3 dell’Asia’s 50 Best Restaurants (il 27 marzo a Macao la prossima edizione).

Siamo nell’incrocio di strade e grattacieli più costoso al mondo, nel quartiere Central della città più verticale d’Asia, dove 50 mq possono valere milioni di dollari locali. Eppure l’atmosfera non è affettata. Dal soffitto della sala del ristorante pendono oltre 4000 iconiche bacchette di bronzo firmate dal designer Adam Tihany. La luce naturale dalle grandi finestre, incornicia un ambiente dalle pareti in legno chiaro, il servizio calmo ed efficace e una clientela che non è solo business: al tavolo accanto al nostro si festeggia, sobriamente, un compleanno. 

La splendida sala 

La splendida sala 

Di umami, consistenze e ricci di mare

Difficile dimenticare l’esperienza di essere qui. Facilissimo innamorarsi del menù, che inizia con una suggestione di amouse bouche che vuole «risvegliare il palato ai cinque gusti, compreso l’umami così ancora poco conosciuto e apprezzato in Occidente ma così essenziale nel cibo asiatico» come ci spiega Richard Ekkebus. Sapori al naturale, poco sale e gioco di consistenze nei piatti che restano di matrice francese.

«Nella cucina occidentale, prevale la presentazione, il gusto e il profumo. Ma in quella asiatica, cinese o giapponese prevale la consistenza. E’ la texture ad attrarre verso certi piatti a noi sgraditi ma adoratissimi da queste parti. Se capisci questo allora inizi ad apprezzare cose che qui sono molto amate come lo stomaco di pesce, spugnoso in bocca e non particolarmente saporito, o le pinne di squalo o certi dessert che usano la gomma di xantano, portata in Occidente da Adrià per primo. Non è una questione di gusto ma di bocca», racconta.

Sono le ricette classiche a essere oggetto di culto, da Amber. Ma non è sempre stato così. «Molte persone non ci capivano quando abbiamo aperto, siamo stati criticati ma abbiamo fatto la differenza, abbiamo dato fastidio e ora i nostri piatti sono adorati», ricorda.

Come l’Hokkaido Sea Urchin, ormai entrato nella letteratura dell’alta cucina in Asia: il prezioso riccio di mare di Hokkaido in Giappone, in una gelatina di astice con caviale e crema di cavolfiore. Ed è proprio questo piatto, che ha segnato la storia, e il successo, dell’Amber (ed è stato nel tempo anche ripensato nella presentazione, «un piatto è sempre in evoluzione»), ad essere il racconto ideale per capirne il futuro. «Perchè per quanto tempo si può pensare di cucinare la stessa cosa?», argomenta lo chef.

Hokkaido Sea Urchin

Hokkaido Sea Urchin

«Non vogliamo diventare un museo: per questo ci rinnoviamo»

«Abbiamo servito l’Hokkaido Sea Urchin per sette anni. Da due anni non lo proponevamo. Ora lo teniamo nel menu dei nostri classici per un anno, ce lo chiedono i clienti, vogliamo dare loro l’opportunità di provarlo o gustarlo di nuovo fino a quando diremo addio al vecchio Amber, la prossima estate», dice Ekkebus. Sì, perchè Amber chiude nel 2018. Chiude ma per rinnovare.

«Non vogliamo mica diventare un museo», ci dice. Perchè a essere meta di pellegrinaggio si rischia tanto se sei uno chef ambizioso che vuole ancora dire la sua. E così da quattro anni lui, che è anche F&B manager di tutto il Landmark, sta studiando una ristrutturazione completa della sua creatura. Innanzitutto gli interni: con più sedute e tavoli disposti in modo diverso per fare più spazio (e via l’iconico soffitto, che verrà messo all’asta per beneficienza, mentre Adam Tihany sta disegnando un altro ambiente, insieme al suo team di cui fa parte la designer italiana Alessia Genova, ma è ancora tutto top secret). Sarà ripensata anche la cucina, più grande e visitabile. E soprattutto Amber riaprirà con un nuovo menu. 

«Torneremo a disturbare»

Nel nuovo Amber niente più opzione à la carte e tutti piatti mai visti e ingredienti super ricercati, come un manzo wagyu bio, scovato nella campagna di Nagoya, a 350 km da Tokyo, che promette di essere una vera rivoluzione: «A 50 anni voglio nuove sfide, continuerò a fare questo  lavoro per almeno altri 20 anni. Quando abbiamo aperto abbiamo disturbato lo status quo della scena food di Hong Kong. Ora tutti ci amano. Vogliamo tornare a disturbare ed evolverci e sfidare i nostri clienti di nuovo. La città si è evoluta e la nostra clientela è pronta. Essere coraggiosi e diversi nella proposta è stato il motivo del nostro successo, senza perdere la nostra identità. Vedo chiaramente la direzione», aggiunge Ekkebus.  

Il Sea Urchin come gli altri classici, sono ordinabili fino a luglio. Poi la ricetta sarà definitivamente donata al Moma di San Francisco al progetto collettivo dello chef Corey Lee del ristorante In Situ. «Era fantastica l’idea di mandare in pensione una ricetta in un museo», racconta Ekkebus. La parabola perfetta per farne una vera icona.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Alessandra Gesuelli

Giornalista e scrittrice di viaggio. Ha visitato quasi cento Paesi e ne parla sulle maggiori testate nazionali. Collabora con le riviste Marco Polo e Bell’Europa e per le pagine viaggi de Il Giornale. Online la si trova anche sul portale The Travel News e sul suo blog Viaggiale

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