02-01-2017
Ilaria Brunetti è stata per Identità Golose da Giovanni Passerini nel suo ristorante omonimo a Parigi. Il locale sarà la prova di maturità per uno chef che, dal rock and roll del Rino, si propone di seguire un percorso scandito da una stella polare in fatto di stile, chiamamolo "neoclassicismo italiano"
Dopo le grandi sinfonie di sperimentazione gastronomica suonate sul piccolo palco di Rino, Giovanni Passerini, nel nuovo ristorante che porta il suo nome (leggi qui la recensione firmata Tokyo Cervigni sulla Guida identità Golose 2017), si concede più spazio, cambia l’orchestra e gli strumenti per intonare melodie più classiche, ma la cui l’anima vibrante rimane intrisa di rock.
Con Rino, il suo primo ristorante nato nel 2010 e defunto quattro anni dopo, lo chef ha saputo esprimere al meglio la forza irriverente della sua esuberante e, al contempo, raffinata creatività, lasciando un segno importante nella storia della rivoluzione bistronomica parigina. Oggi, in un momento in cui questo approccio alla ristorazione è stato portato all’eccesso, Passerini ha saputo intuire che era il momento fare un passo indietro, per offrire ai parigini una cucina più “confortevole”, più rustica, che riportasse in auge la miglior tradizione italiana.
Dice: «Lasciamo ai giovani come Michele (Farnesi) o Simone (Tondo) la possibilità di essere rock and roll. Io, a quarant’anni, posso assumermi la responsabilità di quella tradizione ben fatta, impeccabile, ormai difficile da trovare anche in Italia». Tra le mura del ristorante, dal design contemporaneo, convivono una cucina tradizionale rigorosamente italiana con dei classici della rosticceria francese e qualche piatto di vaghe reminescenze riniane. «Sono ancora in piena fase di decisione, devo capire cosa sarà il futuro. Possono convivere francese e italiano? Moderno e creativo? Una trippa alla romana può coabitare con un brodino di alghe con tortellini al gorgonzola e ricci di mare?».
«Il mio talento principale è capire cosa la gente vuole mangiare. Vuole la carbonara? Facciamogliela! Vuole il piccione più cotto? Facciamoglielo! Certo richiede uno sforzo, lo chef deve compiere un passo indietro e mettersi un po’ da parte. Ma siamo ristoratori, dobbiamo ristorare la gente, non si può sempre pretendere che sia il cliente a capire noi».
«La mia ambizione oggi è diventare un grande ristoratore». Il processo di evoluzione è ancora in corso, e richiede allo chef una grande capacità di mettere da parte il proprio ego per ascoltare le esigenze del cliente. A guidarlo, un’immagine precisa, quella di un commensale che si siede a tavola e si sfrega le mani pregustando già uno dei punti fermi della carta del Passerini, come i supplì, le montanare, la gricia o la trippa alla romana. Il pensiero di sentire gli aficionados esclamare: «Andiamo a farci una trippa da Giovanni!».
«Con la stanchezza dell’apertura sulle spalle, mi sono semplificato la vita. Ora ho voglia di complicarmela. Rino era una Cinquecento con il motore di una Ferrari. Ora quello che mi manca qui è spingere la struttura al suo limite, ingegnarmi per raggiungere un risultato. Mi piace molto portare tutto al limite, per poter andare oltre». Nessun piatto di Rino ha trovato posto sul nuovo menu: una rottura netta con il passato, per Giovanni il modo migliore per rendergli omaggio e poter evolvere in libertà. E anche se c’è chi ne soffre la mancanza, la nuova dimensione di Passerini piace.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
Matematica per caso, gastronoma per passione, ama girare il mondo - tra convegni di matematici e congressi di chef - per raccontare storie di cibo e dei suoi appassionati e appassionanti protagonisti