26-01-2016

Dentro l'era della postavanguardia

Quico Sosa a Madrid Fusión tratteggia il futuro. E rivela: la nuova tendenza è congeniale all'Italia

Che cos'è la postavanguardia in cucina? A tra

Che cos'è la postavanguardia in cucina? A tracciare i confini di questa nuova tendenza, cui è stato dedicata l'edizione 2016 di Madrid Fusión, ha provato il catalano Quico Sosa, storico fornitore di Ferran Adrià e "pensatore culinario"

Quando un congresso racconta “Il linguaggio della postavanguardia”, c’è innanzitutto da porsi un problema concettuale, a maggior ragione se la kermesse è dedicata non all’arte, ma alla gastronomia. Così a Madrid Fusión lo step iniziale è stato proprio questo: quali sono i canoni per la presunta cucina del futuro, la postavanguardia? (Significativo che tale tentativo di categorizzazione sia giunto dalla Spagna, Paese che ha visto attenuarsi la spinta propulsiva dell’avanguardia tecno-emozionale). La risposta è giunta nella pratica da coloro che più degli altri sono indicati come alfieri della imberbe tendenza, dunque Ricard Camarena, David Muñoz, lo stesso Joan Roca; e invece, concettualmente, da colui che nella presentazione del congresso spagnolo era indicato come “pensador culinario”, “genio oculto en la trastienda (ossia nel retro) de la alta cocina”, “druida culinario”.

Quico Sosa durante il suo intervento a Madrid, mentre espone un complesso grafico che rappresenta le diverse "età della cucina"

Quico Sosa durante il suo intervento a Madrid, mentre espone un complesso grafico che rappresenta le diverse "età della cucina"

Quico Sosa – di lui stiamo parlando – come abbiamo scritto anche recentemente è laureato in filosofia a Bologna, quindi sa come dare ordine al pensiero. Compreso quello culinario. Prima abbiamo parlato di “categorizzazione”, nell’approcciarci alla postavanguardia. In realtà Sosa a Madrid ha indicato come caratteristica principale della tendenza la mancanza di categorie rigide, una sorta di “visione fusion” rispetto alle scuole precedenti. La modernità prossima ventura sarebbe nell’integrazione del passato prossimo (l’avanguardia) con quello più remoto (la nouvelle cuisine).

Sosa l’ha spiegato così, presentando una sorta di “manifesto della postavanguardia” sul quale torneremo: «Iniziamo col dire che tutta l’alta cucina si basa sul prodotto, sempre: la dicotomia con la tecnica è solo apparente. Se pensiamo alla nouvelle cuisine, rappresentò però proprio un’accresciuta attenzione per la materia prima, per la stagionalità, per la purezza del sapore, alleggerì gli intingoli e così via. L’avanguardia ha fatto un’altra operazione: ha preso i prodotti e li ha stilizzati, c’era il territorio ma veniva reinterpretato in modo allegorico, grazie alla tecnica».

La postavanguardia è come fosse una sintesi tra i primi due filoni: torna a focalizzarsi su prodotto e territorio, senza cambiarne più di tanto la natura di fondo (che sia chissà texture o cos’altro), ma lavorandolo col patrimonio tecnico e concettuale di questo ultimo ventennio scapigliato.

Ricard Camarena col critico gastronomico José Carlos Capel. Lo chef di Valencia sarà tra i protagonisti anche di Identità Milano

Ricard Camarena col critico gastronomico José Carlos Capel. Lo chef di Valencia sarà tra i protagonisti anche di Identità Milano

Postavanguardia = nouvelle cuisine + avanguardia? Un po’ sì, «ma con elementi nuovi: il ritorno al raw, la passione per l’ancestrale, pensiamo ai crudi, ai fermentati, ai brodi. In più, incorpora nella visione del territorio quella della sua cultura, persino della socialità, mi viene in mente il movimento nato da Gastón Acurio in Perù. Potremmo dire così: il territorio-prodotto diventa territorio-cultura. La postavanguardia prevede anche sapori potenti, tanta salivazione… Un maiale cotto in un forno a bassa temperatura per molte ore e ben impiattato in un ristorante d’alta cucina significa prodotto, scienza, con la lezione che ci è venuta dalla radicalizzazione estetica del piatto, della quale Ferran Adrià è stato il maggior esponente, più un elemento nuovo, che ricorda la storia, le radici. E’ il fragile equilibrio che stiamo vivendo».

Così come non tutti erano Bocuse o Marchesi al tempo della nouvelle cuisine, né Adrià o Blumenthal con l’avanguardia, il nuovo filone convive tranquillamente con chi l’ignora o si attarda nel déjà vu. Anzi, di più: come accennavamo, la postavanguardia – proprio come sintesi quasi “moderata”, tollerante delle altre correnti – postula una pacifica coabitazione. «Bisogna relativizzare i modelli (no alle categorizzazioni rigide, appunto, ndr). Pochi chef appartengono a un movimento in modo rigoroso. In genere le frontiere sono fluide, e questa volta più che mai. La carta di un ristorante postavanguardista può comprendere via via tutte le scuole, rispettando la natura intima di quella alla quale sente di appartenere, nella modernità. Avevamo il piatto, lo abbiamo disgregato, ora lo reintegriamo»: ma è un processo che può svolgersi, ad esempio, durante uno stesso menu degustazione.

La Pasta cipollotto e peperoncino, un classico de Il Luogo di Aimo e Nadia

La Pasta cipollotto e peperoncino, un classico de Il Luogo di Aimo e Nadia

A margine della lezione, chiediamo a Sosa come si ponga l’Italia di fronte a queste tendenze: «Se investe tutta l’Europa, in Italia la postavanguardia è ancora più facile perché, come posso dire, avete vissuto con difficoltà l’avanguardia, che ha dovuto affrontare molti ostacoli. Siete maggiormente pronti a un modello che recupera più didascalicamente il prodotto, il territorio, la cultura, ossia vostri punti di forza. Penso a Il Luogo di Aimo e Nadia: non si è mai smesso di mangiarvi un ottimo piatto di pasta!».

Al legittimo dubbio che questa intellettualizzazione della cucina non sempre trovi artefici (ossia chef) adeguati, Sosa aveva già risposto, sogghignando: «I cuochi sono certo oggi chiamati a essere più preparati. Ma non voglio eludere la domanda, e rispondo con un’altra: è meglio un poeta intellettuale o intuitivo? Io dico: dipende dal risultato. Per la cucina è lo stesso: abbiamo avuto chef-intellettuali che hanno teorizzato e creato l’avanguardia, ed è evidente come l’alta gastronomia non possa che relazionarsi con elementi culturali, intellettuali e artistici. Ma questo non può trasformarsi in un’ossessione, in una patologia: alla fine bisogna sempre fare il conto col giudice supremo». In questo caso, per fortuna, il palato.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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