Josean Alija

crediti: Brambilla - Serrani

crediti: Brambilla - Serrani

Ci sono cuochi felici di abitare il presente e quelli che lo fuggono appena svegli. I professionisti del noto e quelli dell’ignoto. Quelli che adorano friggere nelle tiepide correnti del mainstream e quelli che, piuttosto, si farebbero abbattere a -20 °C per essere rigenerati su un pianeta lontano. Nel panorama dell’alta cucina contemporanea, Josean Alija appartiene di certo al secondo sottoinsieme. È il circolo, molto più ridotto del primo, entro cui operano i cuochi realmente innovatori, quelli a loro agio solo fuori da ogni comfort zone.

Non che El Jefe, classe 1978, non sia figlio del suo tempo: il ristorante Nerua conserva anzitutto nel nome – Nervia è l’antenato del Nervión, l’affluente che spacca in due Bilbao – tenaci tracce del passato. E lo schema principe della tradizione gastronomica bilbaina, che associa salse di verdura a tagli di carne o pesce, è rispettato ogni giorno dal 21 dicembre 1998, il primissimo ingresso del nostro cuoco tra le lastre in titanio del Guggenheim.

Occorre però sottolineare la grande coerenza tra il museo più rivoluzionario degli ultimi decenni e la rivoluzione copernicana accesa dal ragazzo sugli ingredienti: il registro binario vegetale/pesce o carne è sì replicato ma ora le proteine animali si ritrovano quasi sempre confinate tra salse e brodi a dettare il ritmo di fondo del piatto. Nel mentre, sono le verdure a prendersi finalmente la scena madre, a ritagliarsi il ruolo di lead guitar dopo decenni (secoli, millenni) di confino nel regno del contorno e della sopportabilità.

È la cifra stilistica più sorprendente di Alija, "Ben felice", racconta, di sviluppare la sua pasión especial su straordinari vegetali "per svilupparne il potenziale inespresso", un’esplorazione di "sapori, aromi, consistenze e colori" col fine ultimo di "generare emozioni nel commensale". Sono tutti piatti concepiti e sigillati in modo speciale. Il primo atto creativo inquadrerà ogni ingrediente in una prospettiva diversa: del caffè, per esempio, non interesserà mai il chicco tostato ma la pianta da cui proviene (e infatti ne ricava uno spettacolare brodo verde). La mossa finale occulterà la grande tecnica dietro a un’apparente semplicità, a una bellezza tagliente e a un’ordinatissima anarchia cromatica di pochi ingredienti.

Come tutti i cuochi che vivono al margine delle tendenze, Josean non è aiutato dai favori universali della critica. È incredibile, per esempio, che le stelle Michelin del Nerua siano una e non tre (peraltro quell’unica fu assegnata molto tardivamente, nel 2011). Di certo, non lo sentirete mai crucciarsi per questo. Nemmeno se il riconoscimento non dovesse arrivare nei prossimi 10 anni. "Vorrei solo cucinare con le stesse illusioni di oggi. Godere di scoperte sempre nuove per poterle condividere".

(tratto da L'Uomo Vogue)

Ha partecipato a

Identità Milano


a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt