16-06-2018
Andrea Larossa è chef-patron del ristorante Larossa ad Alba (Cn)
Uno chef metà laziale e metà lucano, da poco più di tre anni ad Alba con il suo ristorante che ha quest'anno ricevuto la prima stella della Michelin, la Guida Rossa... E il rosso sembra appunto essere il colore di questa storia: rossa la porta del ristorante, che prende spunto dal cognome dello chef, Larossa; rossa la passione che si respira tra Andrea e la sua compagna Patrizia Cappellaro; rossa la salsa di pomodoro che scopriamo essere uno degli ingredienti preferiti dallo chef; e ora rossa, appunto, anche l’insegna della stella che accoglie all’ingresso.
Andrea Larossa è un autodidatta, ed è stato impegnato in un percorso di crescita tutto personale. Ora è estremamente competente, tecnico al punto giusto e assetato di esperienze nuove.
Ha scoperto l’amore per la cucina da piccolo, grazie alla mamma e alla nonna («Siamo stati sempre legati alla tavola, al mangiare insieme, ai banchetti famigliari»), ma ha capito di volerne fare la sua vita durante il servizio militare, quando cucinando per gli altri si è reso conto di essere portato, bravo e appassionato.
Lo chef con la compagna Patrizia Cappellaro, che cura la sala e la cantina
E poi? «Dopo il militare e alcune esperienze in ristoranti di vario tipo, alcuni dei quali è anche meglio non nominare, sono entrato nella brigata di Carlo Cracco. Un’esperienza formativa formidabile, per me una scuola ai massimi livelli. Anche molto faticosa, con ritmi serrati ed io, rispetto ai ragazzi ventenni dello staff, ero l’unico trentenne e sentivo di sicuro di più lo sforzo fisico. Ma, al di là della stanchezza, questo passaggio da Cracco mi ha aperto la mente sul mio vero sogno, quello di aprire un ristorante tutto mio. Ho capito che era questo che volevo davvero, ma mi sono anche accorto che prima avrei avuto bisogno di un’altra esperienza, di un’esperienza di nuovo stellata».
Perciò hai deciso di restare nel territorio delle Langhe per avviare la tua attività? «A quel punto, visto che il mio sogno era di avere un ristorante, ho iniziato qui la ricerca di un luogo ideale, con l’aiuto di mio padre che da sempre, quando ho un sogno, mi appoggia e mi stimola. Ho trovato questo ristorante, che era sfitto da tempo e anche un po’ malconcio, i vecchi proprietari lo avevano lasciato in uno stato pessimo. Ma me ne sono innamorato, ho chiesto aiuto alle banche... Adesso è il ristorante Larossa».
La sala del ristorante
Lo scorso novembre la notizia della stella Michelin: cosa ha significato? «Arrivò una telefonata dalla Michelin che ci invitava a Parma. Non disse altro, ma capimmo: Patrizia subito scoppiò a piangere dalla gioia! Questa stella da una parte è arrivata inaspettata, perché temevo di non riuscirci ad agguantarla qui, c'è un tristellato a 600 metri e 15 stellati in tutto tra Langhe e Roero. Ma in fondo ci speravamo, ci ritenevamo idonei soprattutto dal punto di vista dell’impegno. E ottenerla a soli tre anni dall’apertura è stata ed è tuttora una grande soddisfazione, oltre che un stimolo a continuare a fare bene. Anzi, sempre meglio».
Tu lavori in Piemonte, ma sei per metà laziale e per metà lucano. A quale tradizione sei più affine? «La cucina lucana è molto povera ed è presente in me col ricordo di quanto cucinava la nonna paterna e con elementi sempre ricorrenti, come il peperone crusco, i lampagioni, le uova, e tanti tanti fritti. La parte laziale è ancor più forte (direi 80%-20%), anche perché era mia mamma, laziale, a cucinare, a casa: sono cresciuto ad amatriciana, supplì, arrosti. Poi ora c’è anche il Piemonte. Quando sono arrivato qui ho studiato bene la tradizione locale, i piatti e i sapori. Adesso il gusto piemontese ha preso ovviamente piede nelle mia cucina, invadendola quasi totalmente. Ma ci tengo a precisare che prendo ispirazione anche da tutte le altre regioni. Ho una zia in Valtellina che mi manda spesso prodotti di quella zona, io li studio e poi li inserisco nei piatti; mi piace anche la Sicilia e non di rado prendo spunto dalle ricette isolane; analizzo infine le cucine di altri chef e cerco di coglierne aromi che mi intrigano… Insomma mi ritengo un cuoco italiano a tutto tondo».
C'è un piatto in cui ti indentifichi maggiormente? «Il Made in Italy, ossia il mio spaghetto al pomodoro. Non so se possa ritenersi un piatto stellato, ma è uno di quelli che preferisco. Credo che dal punto di vista tecnico a volte sia più difficile presentare una proposta del genere in modo eccellente, che mettere insieme 10 ingredienti in un ensemble di grande complessità. Nel Made in Italy c’è tutto, anche l'umami, perché in Italia spesso lo troviamo già nei prodotti».
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1975, ingegnere creativo, in ricordo di un docente che la definiva troppo creativa per fare l’ingegnere. L’ha avuta vinta lui: così dopo anni spesi nel settore energetico, scrivendo di cibo e viaggi nel tempo perso, oggi scrive a tempo pieno di storie di cibo, di mani che lavorano il cibo, di teste che lo creano. Co-autrice de Storie di cibo dietro nelle Terre di Expo, ideatrice del progetto Storie di cibo dietro le sbarre, che sarà un prossimo libro. Adora il buon cibo e il buon vino