20-01-2016
Cos'è il terroir e come si declina tale concetto? E' stato l'interrogativo al centro di un dibattito a Care's, l'evento in Val Badia dedicato alla cucina sostenibile
E tu, che terroir sei? La domanda apparirà oziosa, una versione gourmet stile sesso degli angeli, ma non lo è poi tanto. Sottende infatti una scelta di fondo: quell’insieme concettuale che mischia alla rinfusa territorio, conoscenze, genius loci, tradizioni, storia e cultura, e che per fortuna è sintetizzabile in una sola parola, seppur presa in prestito dalla Francia – terroir appunto –, richiama più le radici o i frutti? E’ insomma conservatrice o progressista? «Che poi non dovremmo neppure più usare tale termine, troppo inflazionato dagli uffici marketing. E io infatti non la uso quasi mai, le preferisco “terra”», sottolineava brillante Michel Bras, ospite d’onore del dibattito che, nel secondo giorno di Care’s in Val Badia, all’esegesi del suddetto terroir era dedicato.
I protagonisti del dibattito a Care's: Fernanda Roggero, Andrea Petrini, Licia Granello, Jock Zonfrillo, Michel Bras, Michele Cannone (direttore del marketing Food Service di Lavazza) e Anderson Ricardo Silva, imprenditore del caffé a Lambarì, Brasile
Un terroir, dunque, aperto e “democratico”, persino accogliente, perché non s’acquisisce con la nascita, non s’eredita per diritto di sangue, ma può essere appreso col tempo, «va vissuto, respirato. Bisogna immergercisi, parlare con la gente». La stessa tradizione, bastione potenzialmente reazionario, «è una materia vivente, e colui che per guardarla si volta indietro, cioè la fissa nel passato, rischia di vedersi trasformato insieme alla tradizione in una statua di sale. La tradizione è un movimento perpetuo. Avanza, cambia, vive. La tradizione vivente è ovunque; sforzatevi di mantenerla al passo», come diceva Jean Cocteau, citato per l’occasione da Bras.
Massimo Bottura e Norbert Niederkofler alla cena di gala della penultima giornata di Care's
Zonfrillo, a questi due iniziali, ha affiancato l’apprendimento delle tecniche francesi e poi un ulteriore terroir, radicalmente diverso, quello australiano dove lavora oggi. «Per sette volte sono andato nel deserto per chiedere agli aborigeni di raccontarmi la loro cultura, anche e non solo alimentare, perché non potevo credere che un popolo con così tanti secoli di storia non ne avesse sviluppata una. Per sei volte mi hanno rimandato a casa. Alla fine si sono convinti e mi hanno detto tutto. Oggi nelle mie cucine (Street-ADL e Orana, entrambi ad Adelaide, ndr) uso più di 60 ingredienti tradizionali degli aborigeni. Solo il 10% è costituito da proteine animali, il resto sono verdure, radici, vegetali in genere». Così lo scorfano viene cotto in un intreccio di legno di mangrovia, che conferisce fumo e sale. Terroir dell’altro mondo.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera