12-09-2016
Marta Scalabrini, chef e patron di Marta in cucina, in un ritratto di Niccolò Cozzi. La Scalabrini, protagonista nell'ultima edizione di MAD5 a fine agosto a Copenhagen, ha aperto il suo ristorante nel maggio 2014 a Reggio Emilia. Fino a 27 anni ha fatto tutt'altro nella vita. Al congresso organizzato da René Redzepi ha tenuto un incontro che ha avuto per tema il futuro del lavoro tra fuochi, forni e fornelli: La cucina del futuro deve essere militarizzata o c'è spazio per la cooperazione tra i singoli cuochi?
Alla due giorni di MAD edizione numero 5, a Copenhagen il 28 e 29 agosto, tema La cucina del futuro, due soli relatori italiani: Carlin Petrini nella grande tenda del circo e Marta Scalabrini in una delle piccole tende esterne a forma di igloo. Di Petrini si sa tutto, della Scalabrini ben poco. Questo non le ha impedito a questa chef di Reggio Emilia di presentare uno dei temi più interessanti: Should kitchens be militarized or collaborative? Le cucine devono essere militarizzate o vi può essere collaborazione tra chef e cuochi?
Lei è per la collaborazione, non nega il bisogno di regole e di una gerarchia, ma se un capo è autorevole, per essere ascoltato e ubbidito non ha bisogno di terrorizzare chi lavora sotto di lui. Il suo racconto parte da lontano, da quando faceva tutt’altro visto che ha aperto Marta in cucina solo nel maggio 2014: «La prima volta che visitai il Noma di René Redzepi era il 2009 ed ebbi subito la sensazione che fosse un luogo che non era mai esistito prima. Avevo letto di Ferran Adrià, del suo El Bulli e di come il suo approccio alla cucina e al coinvolgimento dello staff fosse stato folgorante per alcuni di quegli chef che ora sono tra i migliori al mondo e Redzepi era uno di loro. Ma al Noma non era il cibo, seppur perfetto che mi colpì, era l’atmosfera, il turbinio di sensazioni che provavi entrando lì, così “consistenti”, così tangibili.
Cristina Bowerman, di Glass Hostaria a Roma, e Marta Scalabrini, chef e titolare a Reggio Emilia di Marta in cucina, durante una pausa pranzo a MAD5 a Copenhagen
«Questa disconnessione con “il mondo fuori della cucina” ci ha però causato anche grandi sofferenze e ci ha portato a interrogarci se fosse possibile – e necessaria! - una gestione alternativa della cucina del futuro basata sulla cooperazione, sul rispetto non solo delle regole, che pure sono fondamentali, ma anche delle persone che lavorano con noi, compresi noi stessi. Cooperazione, coinvolgimento, condivisione degli obiettivi e dei risultati, responsabilizzazione di tutto lo staff.
«Mentirei se dicessi che so con certezza che questa gestione della cucina del futuro funzionerà. Se dicessi che ogni volta che le nostre aspettative nei confronti di questo approccio che stiamo adottando vengono disattese ci sentiamo sconfortati. Questa sfida richiede tempo ed energia che non sempre abbiamo. Ogni volta che questo sistema di condivisione ci genera problemi stiamo ore post-servizio a domandarci se davvero il sistema militare di gestione delle cucine, nel passato così come oggi, non sia il modo più rapido e sicuro per raggiungere obiettivi di successo.
Un cuoco al lavoro nelal cucina di Marta in cucina a Reggio Emilia. La foto è di Niccolò Cozzi
«Ciò che è emerso è che la cucina del futuro deve essere sostenibile non solo riguardo alla salvaguardia del Pianeta, ma anche riguardo a noi stessi. Ancora una volta condivisione, networking, rispetto per se stessi e per gli altri, prendersi i propri tempi per vivere e non solo lavorare, sono le basi per la cucina del futuro. Per maggiori info su di noi e sul progetto cliccare sul sito del ristorante e sulla galleria di Vicolo Folletto».
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a cura di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi