25-11-2013

Il signor Cinque Autoctoni

Valentino Sciotti è partito dall'Abruzzo alla conquista del mondo. E con Benetton...

Un primo piano di Valentino Sciotti, patron dei vi

Un primo piano di Valentino Sciotti, patron dei vini Fantini by Farnese di Ortona (Chieti) e di altri 5 marchi del Sud-Italia che, con circa 80 etichette, nell'ultimo anno hanno venduto 20 milioni di bottiglie in 77 Paesi del mondo

Galeotto fu quel piacevolissimo sorso di vino novello trangugiato a Milano, nel giorno di Identità di Carne dedicato alla cassoeula. Approfondendo il discorso, abbiamo compreso che Valentino Sciotti, l’anima della cantina abruzzese Farnese, è un vulcano di idee che oltrepassa di gran lunga il nettare ottenuto da macerazione carbonica. Una persona con cui è gradevole intrattenersi a chiacchierare. E non solo perché ha corso ben 8 maratone di New York - l’ultima pochi giorni fa, con la figlia accanto - con un personale di 3 ore e 4 minuti, circa 4’ e 18’’ al chilometro. Un tempone che neanche Linus.

BANDIERA. Cinque autoctoni, vino da tavola tra due regioni: Abruzzo e Puglia

BANDIERA. Cinque autoctoni, vino da tavola tra due regioni: Abruzzo e Puglia

Ma il signor Sciotti ha altre cifre di cui andare fiero: i 20 milioni di bottiglie divise tra 6 cantine (Farnese più Vigneti del Vulture in Basilicata, Vigneti Zabù in Sicilia, Caldora a Ortona, Vesevo in Irpinia e Cantine Cellaro a Sambuca, ancora in Sicilia). E il totale di un’ottantina di etichette che nell’anno passato sono approdate sulle tavole di ben 77 nazioni del mondo, «soprattutto la Germania», ci racconta al telefono, «e poi il Giappone, che personifica un continente, l’Asia, dal quale siamo sempre più attratti». Cifre da brividi che lo sportivo-imprenditore iniziò a far lievitare dalla fine degli anni Novanta, andando a bussare pioneristicamente fino alle porte di australiani e neozelandesi, «Il segreto? La sfrontatezza di considerare i mercati degli antipodi come popolati da gente di profonda cultura enologica, un’evidenza che scoraggia molti ma non noi, che anzi consideriamo l’eno-conoscenza dei clienti uno sprone a muoverci».

Della nutrita batteria, c’è un’etichetta che più di tutte sta a cuore al patron. E forse è anche la più nota ai connoisseur, per l’incetta di premi che ha assommato in oltre un decennio, ma anche per la storia particolare della sua genesi e composizione. Le facciamo ricapitolare volentieri allo stesso Sciotti: «Si chiama Cinque autoctoni e la particolarità più evidente è che è un vino da tavola che mette assieme un blend di 5 uve da due regioni, la mia e le Puglie: Montepulciano, Sangiovese, Primitivo, Negramaro e Malvasia Nera. È una visione che devo al grande giornalista britannico Hugh Johnson, che agli albori della nostra avventura, nel 1996, gli anni in cui spopolavano i vini internazionali, ebbe il coraggio di suggerire: ‘voi italiani avete così tanti autoctoni che sarebbe il caso di iniziare a puntare proprio su quelli’. Un’affermazione scontata oggi ma rivoluzionaria all’epoca».

CAVALIERE DEL LAVORO. Alessandro Benetton, socio di Farnese

CAVALIERE DEL LAVORO. Alessandro Benetton, socio di Farnese

Il passo successivo fu quello di individuare le vigne e le persone giuste: «Ci affidammo a Filippo Baccalaro e a Jean-Marc Saboua, entrambi alla terza generazione di enologi. Scelsero vigne profondamente radicate – quelle del Primitivo affondano in quel fazzoletto vitato da oltre 100 anni». E i risultati non tardarono: «La prima annata, vendemmia del 1999 messa sul mercato a fine 2000, ebbe successo immediato: se l’accaparrò tutta – 18mila bottiglie – un cliente inglese che esaurì anche tutta la produzione dell’anno successivo. Dal 2001 abbiamo iniziato la distribuzione anche per l’Italia». Oggi se ne giovano tanti cultori del bere bene, inclusi quelli che siedono al tavolo di Heinz Beck a Roma e in decine di altri super-ristoranti, da Bali agli Stati Uniti.

Un clamore che ha attirato anche Alessandro Benetton, socio della Farnese dalla recente scomparsa del suo presidente, Camillo De Iuliis. «A Benetton», rivela Sciotti, «piace molto il nostro modello di business, ma più di tutto il nostro amore per la materia. Ha già un’azienda molto piccola che segue dalle sue parti con il padre, ma stravede per i vini d’Abruzzo. Quando gli abbiamo detto che avevamo aperto anche un mercato in Nicaragua si è illuminato». Ne vedremo delle belle?


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

a cura di

Identità Golose