26-07-2017
Simone Fracassi, gran macellaio e difensore dell'autenticità, ha lanciato una proposta: che la cucina italiana nel mondo sia tutelata dall'Unesco come patrimonio immateriale dell'umanità
Dire che Simone Fracassi, classe 1965, è un personaggio sanguigno risulta persin banale: fa il macellaio. Ma che macellaio! E’ il re della Chianina, il profeta del Prosciutto del Casentino, il fondamentalista della carne (sana). La sua macelleria, a Rassina di Castel Focognano, nel Casentino appunto, provincia di Arezzo, ha lunga storia, che parte dal 1927: 90 anni portati bene. Spiega: «Il mio babbo Gianfranco veniva da una famiglia di barrocciai e raccoglitori di pelli, ottoni e chincaglierie varie. Sposò mia mamma, Pina, figlia di Angiolo Bruschi, macellaio, figlio a sua volta di Antonio e Menchina, macellai a loro volta».
La tradizione da parte materna s’innestò nel ramo dei Fracassi, «aprirono la macelleria nel 1927 a Rassina, all’interno dell’antico borgo. Poi il trasferimento in montagna, a Chiusi della Verna, e nel 1976 il ritorno a Rassina in uno stabile di proprietà dove mio padre prima teneva i cavalli». Da allora non si è più spostata, anche se è cambiata: «All’inizio tenevamo la Chianina e anche qualità meno pregiate, quelle che la gente ci chiedeva di più per via del prezzo. Io ho fatto una scelta drastica: più qualità, meno clienti. Oggi non sono ricco, vivo con la mia famiglia in un appartamento 65 metri quadri, ho un'auto che ha già fatto 515mila chilometri e un Ducati con 450mila, inseguo i debitori che non mi pagano le fatture, ma sono fiero del mio lavoro». Fracassi, è così: drastico e senza mezze misure. Prendere o lasciare.
No all’ossobuco «alto così, arriva dall’Olanda ed è pieno di estrogeni», il suo ha lo spessore di un dito. No alle contraffazioni, ai prodotti edulcorati, ai muscoli gonfiati, «ci siamo disabituati all’idea che la carne si debba masticare, non sia una pappetta. Poi, certo, ho i miei accorgimenti: una settimana di frollatura al macello, poi metto tutto sottovuoto e lì il processo continua, così diventa più morbida». Ha sperimentato anche frollature estreme, come quella di 500 giorni, o l’altra di 120 giorni in acqua.
Si rifornisce solo da allevatori fidati: tre gli danno maiali che razzolano nel bosco, lui ricava straordinari Prosciutti del Casentino, presidio Slow Food, disciplinare severissimo, «non esistono suini più tracciati, in Italia». Le Chianine gliele fornisce invece Vanni Finocchi, «quella era la stalla di riferimento già di mio nonno», sta a Caprese Michelangelo, paese natale del Buonarroti, 650 metri d’altitudine nella stessa provincia di Arezzo. Gliele compra tutte, se poi gliene occorrono altre si rivolge anche ad altri due piccoli allevatori, a Poppi e Anghiari. Arriva a macellare tra le 40 e le 50 Chianine l’anno, oltre a una sessantina di maiali bradi.
Salumi targati Fracassi
Fracassi all'opera nella sua macelleria
Per cambiare paradigma e «sfruttare una nostra potenziale eccellenza agroalimentare, occorre battere le imitazioni. Ci lamentiamo dai falsi parmesan che si fanno all’estero, ma siamo noi i campioni della falsificazione! Dico: è sufficiente produrre il Parmigiano solo con latte di Bianca modenese o di Rossa reggiana e vedrete che risulterà inimitabile». Si rischia di scivolare ancora nell’utopia, ma Fracassi ha pensato anche a un’iniziativa concreta: far diventare la cucina italiana nel mondo patrimonio immateriale dell’umanità, tutelato dall’Unesco, «preservare quanto facciamo di buono, e farlo all’estero per avere ricadute anche da noi. Dargli valore». Fracassi non molla.
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a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
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