28-10-2016
Vittorio Colleoni al centro della brigata, il fratello Paolo all'estrema sinistra: sono due dei Colleoni che portano avanti al meglio la storia del San Martino di Treviglio. Identità Golose c'è stata. E si è trovata divinamente bene. Il nostro racconto (foto Tanio Liotta. La brigata, da sinistra a destra, è formata da Thomas Brenno Carissimi, Andrea Scaini, Daniele Paolangeli, Matteo Valentini e Lorenzo Facchetti. All'estrema destra c'è Mattia Piotto, che lavora invece in sala)
Appetizer: Marshmellow di cavolfiore e Sfera al Campari (fotogallery di Tanio Liotta)
Capesanta, latte di cocco e kefir
Scampo sporco, marinata di tonno rosso del Mediterraneo, ricciola e salmone pescato
Ostriche Fines De Claire Marennes e Spéciale
Ventresca di ricciola grigliata, spuma di patate, pimenton piccante e porri
Triglia, gel di pinoli, capperi fritti, pomodorini e nettare di bergamotto
Calamaretti spillo ripieni di patata e ciuffetti fritti
Filetto di San Pietro con crema d’aneto, salsa di mandorle amare, cipolla e finocchio
Branzino, panissa fritta, castagne glassate, lamelle di tartufo estivo di Trento, trombette da morto e fondo bruno
Cheesecake alle albicocche e zenzero
Alto e silenzioso. Potrebbe essere un cipresso, se non fosse Vittorio Colleoni, classe 1984, autore di uno dei nostri migliori pasti dell’anno – e ne abbiamo avuti molti! Autore certo, ma non unico protagonista: perché al suo fianco c’è Paolo, il primogenito classe 1970 che cura tutto il contorno, che non va inteso come side dish, ma come cittadella del gusto e dell’ospitalità. Ci torneremo. E poi c’è Marco, 1980 attualmente al pit stop. I tre fratelli hanno afferrato saldamente le redini del San Martino di Treviglio dalle mani dei loro genitori, Beppe e Olga, che aprirono il locale nel 1969. L’hanno portato all’eccellenza ovattata di adesso, forti di un dna doc, i bisnonni gestivano proprio tra queste mura una stazione di posta con cambio di cavalli. Spirito orobico puro: si lavora duro, in famiglia, si cresce senza sbandierarlo troppo in giro, senza i fari del riflettore puntati addosso. Ma inesorabilmente, passo dopo passo.
Vittorio, per dire: alto è alto, il che lo accomuna ad altri big in tutti i sensi, Massimiliano Alajmo, Andrea Berton, Pietro Leemann, o il più giovane Enrico Panero, tanto per citarne alcuni. Silenzioso, lo è altrettanto: poche parole ma tanti contenuti, a proprio agio più ai fornelli che in un cooking show. Taciturno, ma la sua cucina ha tantissimo da dire.
Interno del ristorante: presto sarà completamente rinnovato
Vittorio ha preso molto da queste esperienze. Intanto un’attitudine a sprovincializzare il proprio stile, non perché trascuri il territorio – che, anzi, è sempre più presente in carta, e ancor più lo sarà in futuro – ma quanto ad apertura mentale e capacità di sintesi delle diverse influenze che percorrono il mondo dell’alta ristorazione. Poi, vi ha mutuato una certa compostezza che è propria soprattutto dei suoi due maestri iberici o dei francesi: la capacità, voglio dire, di offrire piatti strutturati, sicuri, autorevoli, senza però perdere in freschezza, vivacità, come accade invece in tanti ristorantoni che sono paludati al punto da apparire ormai stagnanti.
Al San Martino il brio è di casa, come alcune certezze ben radicate. Quella ad esempio di una carta dei vini, regno di Paolo, che si fa forte di legami importanti, pluridecennali, frutto di tanti viaggi oltralpe alla ricerca di piccoli vignerons di nicchia: «Nel 1989 abbiamo iniziato a importare il primo alsaziano», ci racconta mentre versa invece un calice di champagne Vautrain Paulet brandizzato San Martino, «andai a conoscere Arnaud Vautrain, non volevano vendermi nulla perché erano appena stati truffati da un altro italiano. Tornai il secondo anno, cedettero. Oggi ci dedica una cuvée speciale, sono piccoli produttori da 50mila bottiglie, vendono solo a due privati». Uno sta a Treviglio, appunto.
Il Marelet, a solo un anno e mezzo dall'apertura, è stato insignito del premio Miglior Bar d'Italia dalla guida Gambero Rosso 2017
Chiediamo a Vittorio Colleoni di definire la sua tavola. Lui: «Alta cucina con prodotti d’eccellenza, ma vogliamo sempre più citare il territorio in chiave contemporanea», il mare farà spazio alla terra insomma. Concetto questo che ad esempio si sostanzierà in un Omaggio alla polenta allo studio, «ma penso anche a piatti a base di anatra, una carne che adoro cucinare. Vorrei farla come l’ho assaggiata all’Eleven Madison Park di New York, era strepitosa». Parla poco, ma ci sa fare. Eccome.
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a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera